9. capitolo

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Ero seduta in banco aspettando che la professoressa d'inglese entri in classe per cominciate la sua lezione diabolica. Annoiata raggiravo tra le dita la chiave gialla della palestra di Jernej. Non sapevo nemmeno perché l'avevo aggiunta sul ciondolo insieme alle altre. In questi mesi facevo troppe cose senza un motivo valido come ad esempio aiutare Wendy. Non che mi dispiaceva di averlo fatto, l'incontrario... si era rivelata una persona molto gentile, altruista e dolce. Mi aveva fatto conoscere la sua cugina Ann che era due anni più grande di noi. Passavo la maggior parte delle pause con loro a chiacchierare del più e del meno cercando di evitare le domande sul mio passato. Mi avevano chiesto da dove vengo, se ho fratelli o sorelle, quale professione fanno i miei genitori. Nonostante la loro premura mi chiudevo a riccio. Non insistevano e non si offendevano se qualche volta preferivo passare la pausa da sola in giardino a tenere corrispondenza con Nina. Naturalmente non avevo proferito parola di aver incontrato suo fratello Jernej. Seppure era una persona calma e ponderata la conoscevo abbastanza bene per sapere che si sarebbe fiondata sul primo aereo per Londra e avrebbe ridotto le sue noci in polvere. La verità era che non volevo procurarle sofferenza. Nemmeno io ero in grado di capire perché ci aveva abbandonato, non ero sicura di essere abbastanza forte per affrontare i fatti e non ero capace di parlarne con lei. Mi sentivo una bugiarda traditrice. Sapevo che non avrei resistito a lungo ma ogni volta rimandavo la dichiarazione promettendomi che glielo avrei comunicato nella telefonata seguente. Come se tutto questo non bastasse Jessica, Alya e Stacy mi lanciavano ogni giorno occhiate omicidi e mi davano spallate nei corridoi. Erano fortunate che non avevo alcuna voglia di finire in presidenza senno avrei tirato i capelli a ognuna di loro. Sono troppo esplosiva e impulsiva e nella maggior parte dei casi non faccio altro che allargare il mare di guai in cui mi ero cacciata.

La professoressa Smith, bassa e un po' in carne, cominciò a scarabocchiare qualcosa sulla lavagna. La sua statura sembrava ancora più piccola a causa della gonna lunga e grigia che si muoveva in sintonia con i suoni scricchiolanti del gesso. La sua mano rimase nell'aria al suono dell'apertura della porta. La sua testa, circondata da capelli color sabbia tagliati a caschetto, si girò verso la statura sullo stipite della porta.
>>Callahan vedo che ha deciso di onorarci con la sua presenza.<< la voce della Smith era quasi tanto pungente come la smorfia del ragazzo vestito completamente di nero.

Che cazzo ci faceva qui?!

Sembrava volesse controbattere la professoressa data la sua espressione accigliata ma non fece altro che affilare ancora di più lo sguardo cupo.

>>Si vada a sedere nell'ultima fila accanto a Hamilton. Questo anno senza storie Callahan non ho voglia di sopportarla ancora un'altro anno.<< abbaiò esasperata e continuò a maltrattare la lavagna.

Oh no. No, no, no.

Le ragazze lo stavano divorando con occhi sognanti mentre si faceva strada in mezzo alla classe per raggiungere il posto accanto a me. Finsi di seguire con interesse la lezione non degnandolo di uno sguardo. Tenevo gli occhi incollati alla lavagna cercando di ignorare il profumo inebriante che emanava il suo corpo possente. Il suo profumo era seducente, aveva un'essenza maschile espansiva ma allo stesso momento era freddo e scostante, come se stesse nascondendo un segreto. Scossi la testa per scacciare i pensieri e cominciai a prendere appunti con zelo.
William Shakespeare: Romeo e Giulietta. Mi lascai sfuggire un sospiro disperato sostenendomi la testa con la mano sinistra. Non bastava che accanto a me c'era seduto un idiota patentato ci voleva anche il capolavoro più sdolcinato della storia accompagnato da facce sognanti delle ragazze. Mi era quasi venuta la diabete.

Nonostante lo sforzo di seguire attentamente la lezione avevo il presentimento di essere osservata da lui. La curiosità mi mordicchiava la scarsa concentrazione affinché lasciai alla curiosità di prendere il sopravvento su di me. Sbirciai cautamente nella sua direzione. Non guardava me ma stava fissando il braccialetto legato intorno al mio polso. Me lo aveva regalato mio fratello. Non era un gran che, solo un semplice braccialetto intrecciato con fili bianchi e neri ma per me aveva un valore indescrivibile. Lo tenevo al polso per sentirmi vicina a lui perché ormai era l'unica cosa che mi era rimasta.
Ero infastidita del modo in cui stava fissando il braccialetto anche se non sapevo interpretare del tutto il suo sguardo. Ma ero sicura che per quel ragazzo prepotente e egocentrico erano solo dei fili insignificanti di valore troppo basso per essere indossati. Perché questo era Axel Callahan, sempre pronto a giudicare con i suoi occhi truci, non capace di vedere due centimetri dal proprio naso con tutto quel ego smisurato che si ritrovava.

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