5. capitolo

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La vista sfocata trasformò l'ambiente in chiazze bianche e nere impedendomi di capire dove mi trovavo. Mi misi a sedere con fatica portandomi la mano dietro la nuca dolorante. Facendo attenzione al collo indolenzito girai piano il capo cercando di capire dove mi trovavo. Il buio era spezzato da una luce fievole attaccata al soffitto pieno di ragnatele che gettavano le proprie ombre sulle mura spoglie. Pino si divarcò dalle mie braccia sfrecciando nella penombra. Non feci in tempo di richiamarlo che finì a sbattere contro delle gambe muscolose. Le scarpe nere sfrecciarono contro di lui dandogli un forte calcio in testa. Il cane rotolò per terra lanciando un guaito che mi strappò il cuore. Sgusciai in ginocchio da lui prendendolo in braccio.
>> Che cazzo hai fatto?!<< urlai alzando lo sguardo sulla statura in alto. Il volto del ragazzo era rivolto in basso su di me ancora seduta a terra. I capelli neri come la notte gli erano appicchicati sulla fronte velata con piccole gocce di sudore che brillavano sotto il soffio della luce. Rimasi imprigionata nelle irridi di color giallo chiaro immerso nel marrone scuro. Non avevo mai visto degli occhi così belli, sembravano surreali come la bellezza del ragazzo. Il suo abbigliamento nero compresi i guanti da box faceva risplendere ancora di più gli occhi che mi scrutavano freddamente.

>>È tuo questo cagniaccio insignificante?<<la sua voce profonda mi fece piombare nella realtà. Non so se mi dava più fastidio che abbia dato a Pino del cagniaccio insignificante o il tono astuto in cui si era rivolto a me. Mi alzai barcollando stringendo a se Pino che non smetteva di squittire per il dolore.
>> Non sono cazzi tuoi se il cane è mio o no gli hai tirato un calcio che lo avrebbe potuto uccidere!<< sentivo la propria voce come un eco rimbombante nella testa. Il volto del ragazzo rimase impassibile. Le mie parole non gli avevano risvegliato un filo di dispiacere.

>> Mi dovrebbero assumere nel Liverpool per quel calcio.<<constattò distaccato riprendendo a sferrare pugni al sacco da box facendola dondolare. La collera per il suo comportamento menefreghista prese il sopravvento du di me. Lasciai Pino a terra incamminandomi verso l'imbecille. Gli diedi una spinta che non lo fece smuovere neanche per un millimetro ma bastò per spostare la sua attenzione su di me.

>>Ascoltami idiota che non sei altro avevi quasi ucciso una creatura vivente e non hai nemmeno le palle per scusarti?!<< calò il silenzio. Il ragazzo varcò verso di me fermandosi un soffio dalla mia faccia. La sua statura muscolosa devastava di almeno quindici centimetri il mio metro e ottanta. Il suo sguardo inferocito mi fece gelare il sangue nelle vene ma la rabbia e l'orgoglio non mi lasciarono indietreggiare. Sostenni il contatto visivo stringendo i pugni lungo i fianchi.

>>Nessuno mi parla in questo modo. Per lo meno una mocciosa ficcanaso come te.<< ringhio a denti stretti. Una mocciosa ficcanaso come te?! Se credeva che mi avrebbe fatto paura e che mi sarei ritirata indietro si sbagliava di grosso. Gli puntai un dito contro il petto avvicinandomi maggiormente alla sua faccia.
>>Se credi che un pezzo di merda come te mi fa paura ti sbagli. Andrai da Pino a chiederli scusa con le buone o con le cattive. La scelta è tua.<<sussurrai minacciosamente. I suoi occhi miele brillavano con luce pericolosa. Mi prese il polso è lo strattonò facendomi sussultare. Vedendo i suoi muscoli scolpiti seppi che me l'avrebbe rotto in un soffio se avrebbe stretto la presa.

>> Che cosa sta succedendo qui?<<l'idiota lasciò il mio polso di colpo voltandosi nella direzione del ragazzo fermo sulla porta del garage. Si avvicinò a noi lasciando alla luce di scoprire i suoi lineamenti. Mi mancò la terra sotto ai piedi.

Jernej Novak.

La sua figura salda non scompariva nonostante cercavo di cacciarla via aprendo e richiudendo le palpebre. Rimaneva sempre allo stesso posto fissandomi con occhi sgranati. La sua faccia pallida era trasparente per lo stupore.
>>Lena?<<la sua voce rocca uscì come un sussurro mentre si avvicinava me. Il profumo famigliare del detersivo mi invase le narici insieme ai ricordi del passato. La sua figura traballo davanti ai miei occhi riportandomi indietro nell'appartamento a Lubiana. Il volume della partita di calcio mischiato all'odore di popcorn ci portava all'euforia di un'altro gol segnato dalla nostra squadra preferita. I ragazzi urlavano a squarciagola ma nessuno batteva Jernej e mio fratello quando ci mettevano l'anima. Ad un tratto Jernej si gettò su mio fratello annusandogli la maglia, annunciando che ora capiva perché tutte ragazze andavano di matto per lui e dopo pochi giorni usava lo stesso detersivo come mio fratello. Non era una sorpresa, si copiavano a vicenda ma mio fratello non la prendeva mai bene. Jernej non si faceva mai scrupoli a subire il suo fastidio anche se nella maggior parte dei casi finiva rincorso con dei cuscini. Mio dio erano stupidi ma che cosa si poteva aspettare...dopotutto erano migliori amici.

Conficcai le unghie nel palmo della mano accertandomi che non fosse un'incubo dal quale mi sarei svegliata, ma la realtà. Lo feci anche quel giorno. Quel giorno quando l'ansia e la tristezza mi avevano devastato l'anima. Quel giorno che la barra era sotterrata. Non se n'era andato solo lui ma anche il ragazzo che si trovava di fronte a me. Se ne andò senza dire nulla, sparì come il fumo della sigaretta bruciata.
Puoi sempre contare su di me. Io non me ne andrò mai. Ti voglio bene.
Solo allora capì perché cominciai a disprezzare queste parole.

Indietreggiai di colpo sbattendo la schiena al muro.
>>Non avvicinarti a me.<< constatai debolmente con lo sguardo rivolto a terra. Non avevo coraggio di incrociare il suo sguardo. Gli occhi che erano la fonte di mia gioia, pace e conforto per anni. Ora non vedrei altro che le proprie irridi colmate di rabbia, delusione e odio riflesse nel suo marrone fondente.

>>Ti prego dobbiamo parlare.<< le sue parole supplichevoli fecero esplodere l'ira nelle mie vene. Ne voleva parlare! Cazzo non gli fregava abbastanza di me mesi fa per parlarmi o almeno avvisarmi che sarebbe partito. Porca puttana pensavamo che fosse morto, abbiamo chiamato tutti ospedali sloveni senza ricevere notizie e ora lui ne voleva parlare?!

Mi ricomposi di colpo. Lo inchiodai con lo sguardo inferocito ignorando il groppo che mi si era creato in gola.
>>Non hai niente da dire che mi potrebbe interessare.<<sibilai tra i denti. Jernej chinò il capo stringendo la mascella a tal punto che temetti se l'avrebbe spaccata. Gli occhi mi pizzicavano, le mani mi stavano tremando. Sentivo l'aria farsi pesante, me ne dovevo andare subito. Strinsi tra le mani il guinzaglio di Pino trascinandolo verso l'uscita.

>>Stai facendo conclusioni affrettate Lena.<< la voce di Jernej fermò i miei piedi. Potevo sentire ancora il calore del suo corpo che mi proteggeva dal vento tagliente al giorno del funerale. Rabbrividì al ricordo di noi due abbracciati a fissare l'accumulo di terra fresca per un tempo indefinito. Prima di andarsene dal cimitero mi disse >>Alla fine andrà tutto bene. Se non andrà bene non è la fine.<<usò il detto preferito di mio fratello. Quella volta diede un pizzico alla mia guancia cercando di farmi sorridere. Quando guardavo la sua figura allontanarsi non sapevo che non l'avrei trovato più a casa una volta rientrata. La sua presenza e il detto pronunciato volarono verso il cielo col vento ululante facendoli scomparire, lasciandomi sola nel buio della notte.

>>Ti prego lasciami spiegare.<< la sua voce spezzata mi colpi la schiena. Cacciai indietro le lacrime. Non volevo ascoltarlo, non mi interessava. Il dolore che mi si era dissolto nel petto faceva troppo male. Tutto faceva troppo male, ero stanca di sentirmi così.
>>Ti prego.<<mi scongiurava facendo qualche passo verso di me. Sentivo le ginocchia deboli, sarei afflosciata da un momento all'altro. Raccolsi le ultime briciole di forza che mi erano rimaste per girarmi nella sua direzione notando con la coda dell'occhio l'estraneo che non mi staccò lo sguardo di dosso.

Sapevo che quello che stavo per dirgli lo avrebbe distrutto ma non me ne importava. Non me ne importava perché non importò nemmeno a lui quando se ne era andato. E se teneva tanto alla mia risposta io gliela avrei data anche se lui non lo fece.

Raddrizzai la schiena trasformando l'amarezza in odio.
>>Non posso decidere se dare o meno la possibilità di spiegazione ai morti. Ma posso decidere se voglio sentire le ragioni di quelle vive. Non posso incolpare le persone morte per gli eventi avvenuti nel passato...ma posso incolpare le persone che sono ancora vive.<<

Uscì dalla palestra senza aspettare la sua risposta. Le lacrime mi rigavano violentemente il volto cadendo sull'asfalto ruvido. Il trambusto della città fece sparire il silenzio che regnava nella palestra. I clacson spazientiti sciacquarono dalla mia mente il suono del proprio cuore che andò di nuovo in frantumi. Lo avevo ferito con le proprie parole, ma pronunciandole avevo ferito me stessa ancora di più.

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SPAZIO AUTRICE:
Avete mai provato la sensazione di un colosso totale rivedendo qualcuno che vi ha feriti? Che cosa avete provato? Avete reagito anche voi come Leonor?

INSTAGRAM: zoya372001

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