𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 3

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Sentii la sveglia suonare come al solito alle sei e mezza, ma non avevo voglia di ritornare a scuola.

Con una smorfia alzai la testa dal cuscino, mi allungai con il braccio sinistro verso il cellulare e spensi la sveglia. Ma quello sforzo fu invano, dopo cinque minuti riniziò a suonare. Mi alzai lamentandomi e mi diressi verso la cucina, alla ricerca di mia madre.

La trovai in cucina davanti al tavolo a imburrare i miei toast appena fatti, che lasciavano un profumino invitante anche se non avevo comunque fame. Chiesi a mia madre se potevo restare almeno questo giorno a casa, ma lei essendo testarda mi costrinse ad andarci, dicendomi che i miei amici mi avrebbero voluta vedere. Beh questo è vero: ieri nel tempo in cui ero all'ospedale mi intrattennero nella nostra solita conversazione di gruppo cercando di farmi rallegrare, ma non c'era molto da fare.

Dopo un quarto d'ora che restai seduta al tavolo davanti al piatto senza toccare nemmeno un briciolo dei miei toast mi feci forza e coraggio, mi alzai dal tavolo e mi diressi verso il bagno.

Rimasi seduta al tavolo fino a che mia madre non se ne andò al lavoro per non farla preoccupare essendo che non ho messo la mano su un alimento da ieri sera; lei è abbastanza paranoica, non voglio farle venire in mente l'idea che io sia depressa e che dunque mi porti da uno psichiatra, visto che tanto ha qualche conoscenza.

Mia madre non ha perso i contatti con il suo vecchio amico d'infanzia, Rick, il quale nel tempo si è laureato ed è diventato uno psichiatra. Dopo il divorzio dei miei se ne approfittò di una cena con un vecchio amico per portarmelo a casa e farci due chiacchiere. Pensava che avessi subito qualche trauma, ma fortunatamente Rick disse che non ebbi nè traumi nè shock.

Dopo essere uscita dal bagno mi vestì con i primi capi che avevo trovato. Trovai un paio di jeans e una t-shirt bianca con il mio cappotto lungo beige. Mi sistemai un po' i capelli in una coda lasciando dei ciuffetti davanti e andai via di casa. Nel frattempo mi accorsi che mio padre non c'era a casa, evidentemente se ne andò al suo piccolo appartamento dopo aver cenato con mia madre.

Erik mi mandò un messaggio chiedendomi di fare colazione insieme al bar dietro all'angolo della scuola; accettai nonostante non avessi fame e andai a piedi fino a scuola. Quella mattina era soleggiata ma tirava sempre il vento un po' rinfrescante, d'altronde eravamo ancora in autunno. Presi la scorciatoia per il parco.

Camminavo sulle foglie arancioni e marroni che scricchiolavano sotto le mie scarpe e attiravano l'attenzione di un piccolo chihuahua appartenente ad una signora anziana che continuava a fissarmi mentre continuavo a fare i passi avanti.

Non ero amante di quella razza di cani, ogni volta mi facevano salire i nervi: sono piccolini, carini e coccolosi a prima vista, ma in realtà sono tutt'altro.

Lo so per esperienza: mia zia ne ebbe uno 14 anni fa quando ero più piccola. Amavo gli animali perciò ogni volta che uscivo dall'asilo mi facevo riprendere da lei per poter giocare con lui. Un pomeriggio per sbaglio gli stritolai la coda, perciò ringhiando mi saltò addosso e mi morse il braccio sinistro. Fortunatamente non fu niente di grave e mia zia venne in tempo, ma da quel giorno ho sempre odiato i chihuahua.

Mi è rimasta solo una piccola cicatrice che a malapena si nota e della quale ho raccontato la storia solo a poche persone, le quali si divertirono un sacco ad ascoltarla. È troppo ridicola come storia per andare in giro a raccontarla.

Attraversai tutto il parco, svoltai l'angolo della banca e mi ritrovai Erik davanti al bar che mi stava aspettando.

<<Buongiorno El>>

<<Ciao...>> gli risposi costretta.

In questi giorni cercai di mettere da parte l'odio che provo verso di lui ed essere gentile essendo che abbiamo perso una persona importante. È un'impresa difficile.

𝐿𝑎 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑒.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora