Cinque.

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Venerdì.

Ottobre era un mese davvero insolito agli occhi di tutti gli studenti che frequentavano Hogwarts.

L'inizio dell'anno scolastico, sebbene fosse avvenuto appena un mese prima, sembrava un evento infinitamente lontano e irraggiungibile, sommerso dai compiti assegnati senza la minima pietà e dai fogli di pergamena da riempire con fitte righe d'inchiostro. Per gli alunni del settimo anno, poi, ottobre voleva dire prendere definitivamente coscienza che quello fosse l'ultimo anno scolastico da trascorrere al Castello e, nonostante la classica malinconia cominciasse a insinuarsi nei loro animi, non risultava poi così difficile reprimerla con le mille materie da studiare e l'ansia per i M.A.G.O. in avvicinamento.

C'era tuttavia un dettaglio non così trascurabile, che rendeva ottobre uno dei mesi che James Potter amava con tutto se stesso: l'inizio delle partite di Quidditch.

Per tutto il mese di settembre si era allenato, aveva sudato, si era sgolato per urlare ai suoi compagni di squadra tutti i rimproveri possibili e immaginabili, ma sapeva che dietro tutto quello c'era un obiettivo ben preciso: Grifondoro avrebbe vinto quella partita a tutti i costi. Oltre a tutto il resto del torneo, naturalmente.

La sua proverbiale determinazione per quanto riguardava quello sport era nota a tutti i maghi e le streghe di Hogwarts, che molto spesso prendevano sul ridere questa sua tendenza a ingigantire l'importanza di ogni singolo allenamento e a riferirsi a qualunque partita si dovesse giocare come se fosse un evento epocale.

È altrettanto vero che il cento per cento dei Grifondoro era competitivo almeno quanto James, con un'ambizione che avrebbe fatto invidia persino al più accanito dei Serpeverde. Come avrebbe precisato il saggio Frank Longbottom, tuttavia, il loro atteggiamento battagliero aveva comunque dei limiti e non sarebbe mai sfociato nella più mera slealtà. A differenza di qualche verde-argento di sua conoscenza, per inciso.

Quel venerdì, comunque, non c'era molto di cui preoccuparsi sotto quell'aspetto: la partita contro Serpeverde si sarebbe disputata soltanto nella seconda giornata del torneo, mentre quel pomeriggio tutta la competitività dei Grifondoro doveva incentrarsi sui momentanei nemici numero uno: i Corvonero.

«Girano sempre con mille libri in mano, come se volessero sbattere in faccia al resto di Hogwarts il fatto di essere loro e basta quelli intelligenti. E vogliamo parlare del modo in cui ti guardano quando passi per i corridoi, come se fossi un moscerino della frutta? Si sentono superiori solo perché il loro cervello è più sviluppato del resto della scuola, fidatevi di me.»

Fidarsi di Sirius Black era un'azione di per sé estremamente pericolosa, ma bisogna ammettere che quando parlava con quell'enfasi, dall'alto di un tavolo in modo da avere una visione completa della Sala Comune Grifondoro, non credergli era praticamente impossibile. Ecco perché gli studenti rosso-oro di tutte le età pendevano letteralmente dalle sue labbra, mentre lui si dilettava nel solito discorso pre-partita con cui intendeva sostanzialmente motivare il suo migliore amico e la sua squadra. O almeno, questo era quello che tentava di fare in teoria.

In pratica, la sua abilità oratoria consisteva nell'insultare le altre Case con gli improperi più disparati, inserendo nel suo tono di voce una non trascurabile dose di convinzione che rendeva davvero impensabile non farsi convincere dalle sue insensate parole.

«Evviva l'essere razionali, certo, ma davvero non sono capaci di pensare ad altro. Sanno almeno divertirsi, o per loro il massimo dell'emozione è imparare a memoria tutte le tappe della storia della magia celtica?»

Emily Brown, Grifondoro del quinto anno che aveva un fratello gemello proprio tra i Corvonero, stava cominciando a riflettere sull'eventualità di doversi sentire offesa o meno dai commenti di Sirius Black.

Seven ThingsWhere stories live. Discover now