Capitolo 7: Noia

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Il mattino seguente, John si vestì velocemente e lasciò presto la piccola stanza da letto per raggiungere l'appartamento sottostante.

Erano ormai passati due giorni da quell'inconveniente, e quando aprì la porta si ritrovò davanti uno Sherlock annoiato e stravaccato sulla solita poltrona nera. Indossava una lunga vestaglia blu che cadeva sopra la maglia ed i pantaloni grigi del pigiama, il suo viso era fiacco, i suoi occhi chiusi ed i ricci scuri color nocciola tutti disordinati.
In mano aveva la sua inconfondibile pistola.

«Non sparerai al muro, vero?»

«Solo se mi arriverà un nuovo caso tra le mani» rispose il giovane iniziando a giocherellare con l'arma, togliendole la sicura.

«Ok, ok va bene!»

Il dottore si precipitò verso il computer e iniziò a cercare sia nella casella e-mail sia nella pagina di cronaca dei casi che potessero essere interessanti per il coinquilino. Iniziò dunque a leggere vari titoli o richieste.

«Uomo sulla cinquantina trovato morto in casa dopo aver denunciato il possibile assassino alla polizia. Questo potrebbe-»

«Avvelenamento, banale.» lo interruppe bruscamente il detective.

«Donna rapita e trovata morta con una grave ferita alla tempia, sempre nella sua abitazione dopo cinque giorni. Magari questo non è così banal-»

«Il marito» sbuffò gesticolando con la pistola sempre tra le mani «Il marito, forse dopo una violenta lite per accaparrarsi del denaro, la rapisce per essere più incisivo e autoritario ma lei non cede, quindi la uccide dopo un attacco d'ira. Per evitare sospetti e la prigione porta il cadavere nella loro abitazione e, avendola colpita alla testa, decide di spacciare il tutto come effetto di un'ipotetica rapina con scasso. Patetico.»

Andarono avanti così per quasi mezzora e, a ogni risposta seccata del detective, il coinquilino si stupiva e rimaneva sorpreso dall'immediatezza con cui l'amico continuamente rispondeva e dalla semplicità con la quale risolveva ogni caso.

«Noia, noia, noia, noia, NOIA!» sbottò di colpo il giovane, sparando alcuni colpi nella faccina gialla dipinta nella parete.
Si alzò poi in piedi, iniziando a camminare distrattamente e in modo circolare. John intanto raggiunse il detective, prendendogli la pistola dalle mani e togliendole le munizioni rimaste.
Lo sguardo del detective si spostò nella finestra, scorgendo una giovane ragazza sulla soglia del 221 B, incerta nel suonare il campanello. Ripetutamente si avvicinava e si allontanava dalla porta, timida ed indecisa.

«Ci mancava anche questa!» sbuffò seccato il più giovane, continuando a camminare.

Il dottore seguì il suo sguardo, notando la ragazza impacciata.

«Magari può avere un caso interessan-»

«Non c'è nulla di interessante nelle questioni amorose! Non vedi come tiene le mani?» borbottò l'altro.

John girò il volto verso la ragazza e la vide allontanarsi con aria affranta.

«Se ne è andata?»

«Sì»

Il riccio guardò per un'ultima volta la giovane ventenne dalla finestra, intenta a chiamare un taxi, e successivamente si distese sul divano, le mani che sfregavano il volto rosato.
Il coinquilino studiò attentamente i movimenti del giovane, prestando particolare attenzione a possibili sbalzi di umore -che capitavano frequentemente.

Il biondo alzò gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente e, dopo aver ridato una rapida occhiata al detective, si diresse verso la cucina ma il suo polso fu afferrato e bloccato dalla forte presa del moro che, con i suoi occhi color zaffiro, lo fece bloccare sul posto.

«Che c'è?» chiese scocciato «Cosa ho fatto questa volta?»

Il suo tono era polemico. I suoi occhi lo studiarono attentamente e pretesero risposte dal viso confuso e arrossato del più grande che però non si oppose al tocco.

«N-Niente»

«Davvero? Una persona normale non si metterebbe a sbuffare in quel modo senza un motivo. Che c'è che non va?» Il suo tono divenne più polemico e severo.
John lo guardò  negli occhi, incerto su cosa fare e su cosa dire. In verità non c'era nulla che non andasse; conosceva bene il detective, sapeva come avrebbe reagito in determinate situazioni e questa non era diversa, solo che il parlare non era il loro forte. Discutevano solo sui casi, il resto poteva essere troppo noioso e banale per una mente acuta come quella di Sherlock.

"Cazzo".

Ultimamente stava pensando molto a lui, alla sua personalità, ai suoi vari pregi, alla loro amicizia, al possibile di più. Non aveva mai pensato al moro in quel modo; lo aveva sempre considerato come una figura di riferimento e di ammirazione -senza contare i suoi difetti- capace di fare tutto, di riuscire a cavarsela in qualsiasi situazione grazie al suo genio brillante.

"Cosa mi invento ora?"

«John!»

«Non c'è nulla che non vada. Sono stanco, sia per il lavoro sia per i casi, sai che non mi piace vederti in questo stato» iniziò ad arrampicarsi sugli specchi. «Che ne diresti di.. ecco.. uscire un po'? Andiamo a mangiarci qualcosa, facciamo un giro e poi torniamo appena ti annoi. Che ne pensi?» propose timido.
Era anche la prima cosa che gli venne in mente in quel momento.

«Ma non è quello che di solito fai con le tue ragazze temporanee?» ironizzò con un ghigno il moro continuandolo a fissare.

«Prima di tutto non sono temporanee! Non ho ancora trovato quella giusta, tutto qui..»

Il detective lo guardò ancora, aggrottando la fronte.

«Va bene» decise infine «Se ritieni che mi terrà la mente occupata va bene»
Sul viso del soldato comparve un piccolo sorriso.

Cosa dice il tuo cuore? [Johnlock]Where stories live. Discover now