Adorare, tacere, godere

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I dolori al fegato sporcano la luce del sole. È dall'inizio dell'anno che non mi lasciano in pace.

L'odore di serenità del Lago Maggiore arriva in questa stanza di Villa Ducale con un retrogusto acre. Ho ricevuto due visite. Qualche giorno fa mi hanno impartito anche l'estrema unzione. Ma non voglio congedarmi senza aver salutato il mio caro don Alessandro. Me lo ha promesso il dottor Poliaghi. Una medicina è in arrivo da Milano per lenire la pena di questi ultimi giorni. Così mi ha detto, per prepararmi a questo incontro.

Mi chiamo Antonio Rosmini Serbati.

Vivo da alcuni a Stresa, nel Regno di Sardegna, ma sono nato a Rovereto, alla periferia dell'impero austroungarico. La mia famiglia è tra le più conosciute in paese. Si è arricchita con il commercio della seta. Mio padre, Pier Modesto, è stato un uomo austero, amante della poesia e delle battute di caccia. Mia madre, Giovanna, proviene dalla famiglia dei conti Formenti di Biacesa. Una donna nobile, dedita alla cultura e alla religione oltre che alla cura della casa e dei figli. Si occupava di me, di mio fratello e di mia sorella. Ci ha nutrito di cibo e precetti religiosi.

Tradizione e solidarietà.

La mamma ha fondato la nostra fede cristiana su questi due pilastri.

Giovanna Formenti ha modellato la mia vita così come Monica e Regina Reuter avevano fatto con Agostino e Immanuel Kant. È stata una madre premurosa, ma autorevole.

Zio Ambrogio e don Pietro Orsi sono state le due figure cardine della mia formazione. Il primo mi ha insegnato ad apprezzare l'arte. Mi ha fatto giocare tra gli scaffali della grande biblioteca paterna e ha tracciato il sentiero della mia formazione. Don Orsi mi ha guidato nello studio di filosofia, matematica e fisica. Ho terminato gli studi al Liceo imperiale di Trento con il massimo dei voti e la lode.

A 18 anni ho vissuto la prima svolta importante della mia vita. Ho scoperto l'idea di essere e la vocazione al sacerdozio.

Filosofia e teologia. Studio e impegno pastorale.

Ho iniziato in quel momento a capire quale direzione avrebbe preso la mia vita.

Un elemento ha tracciato la direzione dei miei studi universitari: il sacerdozio ha la precedenza su tutto il resto. Per questo motivo, la notizia che i candidati all'ordine sacro avrebbero dovuto lasciare Padova mi sconvolse. Alcuni professori, infatti, erano accusati di simpatie filo italiane. Troppo pericoloso lasciarli ad ammaestrare i futuri ecclesiastici. La curia di Trento mi concesse una deroga. Tutto sembrava essersi concluso nel modo migliore. Ma la morte del vescovo della mia diocesi fu una battuta d'arresto. Ai candidati trentini al sacerdozio venne proibito di ricevere l'ordinazione in altre diocesi.

Non ho mai avuto ripensamenti.

Ho continuato a studiare, a dedicarmi a tanti progetti, ma la mia vita è di Dio. Niente sacerdozio, niente laurea.

I problemi spesso si intrecciano tra loro. La morte di mio padre ha complicato la situazione. Ho ricevuto quattro sesti del patrimonio familiare di circa ottocentomila fiorini, più di seicento chili d'oro. Era prevedibile la reazione di mio fratello Giuseppe. Il ribelle della famiglia. Persona sempre annoiata e senza alcuno slancio vitale. Nonostante io lo avessi sempre riempito di premure, accusò mio padre di aver compiuto una grande ingiustizia. E mi costrinse a intervenire con un testo ufficiale: una Convenzione o regole per vivere nella santa pace fraterna. Mi sono assunto l'onere di fare da paciere fra me, Giuseppe e nostra sorella Margherita. L'ho messo nero su bianco. «Tutti e tre saremo fra noi non solo fratelli di sangue, ma veramente amici di cuore. L'interesse sarà uno solo, uno solo il desiderio di amarci, onorarci e aiutarci scambievolmente. Saremo perfettamente eguali in tutto, né uno sarà meno dell'altro».

Vita da filosofiWhere stories live. Discover now