CAPITOLO 3

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Cardelli fu svegliato dalla vibrazione del cellulare premuto contro la sua coscia destra. Aprì gli occhi, la stanza era completamente avvolta nell'oscurità. Abbassò lo sguardo verso la tasca e vide la luce del telefono filtrare attraverso la tela dei pantaloni. Allungò il braccio svogliatamente per prendere quel piccolo aggeggio infernale, poi lo guardò distrattamente. Era il capo.

"Pronto?" chiese nel silenzio dell'appartamento buio.

"Cardelli, mi hanno appena chiamato e mi hanno detto che l'aereo atterrerà alle 23.15. Arriverà da Parigi dato che non c'era un aereo diretto da Seul. Il detective si chiama Namjoon Kim ma non mi hanno dato nessuna sua descrizione"

"Come lo riconoscerò allora?"

"Non lo so ma ti prego non preparare quegli squallidi cartelli scritti con il pennarello nero che sanno tanto di turista fai-da-te!"

"Va bene" ribatté con un tono tra il divertito e l'irritato "Vedrò cosa posso fare". Stava per chiudere la chiamata quando sentì il capo urlare: "Ah dimenticavo! Passa in centrale prima di andare all'aeroporto! Abbiamo qui una busta con le chiavi del suo appartamento, i documenti e tutto il resto". "Va bene, va bene dopo vengo" disse poi terminò la telefonata. Si alzò e accese la luce. Mancavano ancora più di quattro ore all'atterraggio quindi aveva il tempo di fare la doccia e di mangiare qualcosa prima di avviarsi comodamente verso l'aeroporto. Mentre si rilassava sotto il getto caldo la sua mente si perse ad immaginare che tipo di persona potesse mai essere questo detective coreano: Namjoon Kim.

Se lo figurò piccolo e muscoloso, di un'età compresa tra i trenta e i quarant'anni, con i capelli lisci e neri e un ciuffo ribelle alla Jackie Chan. Sorrise mentre si insaponava. Sapeva che Jackie era cinese ma non poteva farci nulla, riusciva solo a pensare a lui e a tutti i film polizieschi che aveva interpretato. D'altra parte poi sperava davvero che fosse come lui, dato che come attore gli stava veramente molto simpatico. Uscì dalla doccia di buon umore, che durò fino a quando non aprì il frigorifero, poi si spense completamente. L'interno dell'elettrodomestico era desolato, si era scordato di andare a fare la spesa quindi trovò solo un paio di fette di formaggio fuso, qualche vasetto di salse assortite, un uovo già sodo e la parte finale di un salame iniziato da chissà quanto tempo. Si sedette a tavola con il magro bottino che aveva conquistato e, con un pezzo di pane duro che aveva recuperato dalla dispensa, si preparò un panino triste come la sua esistenza.

Arrivò all'aeroporto circa una mezz'oretta prima dell'atterraggio.

Gli piaceva quel posto e spesso vi si recava anche se non doveva partire o non doveva aspettare il ritorno di nessuno. Specialmente a quell'ora la sala d'aspetto e la zona ritiro bagagli erano silenziosi e le persone che tornavano erano troppo stanche per fare confusione. Rimaneva a guardarle cercando di indovinare dai vari indizi che lasciavano trapelare dove fossero andate e se avessero apprezzato o meno il viaggio appena fatto. Era rilassante vivere per qualche minuto la vita degli altri e percepire dai loro gesti e dai loro occhi il sollievo o la delusione del ritorno.

"L'aereo Airfrance AF1206 in arrivo da Parigi è atterrato in questo momento in perfetto orario". La voce dell'altoparlante lo strappò alle sue fantasie. Era quasi emozionato all'idea di incontrare il suo nuovo collega, non gli veniva l'ora di conoscerlo e di stringergli la mano. Non voleva però fare brutta figura perciò rimase seduto nella sala d'aspetto dove poteva controllare perfettamente chiunque avesse ritirato la valigia dal nastro trasportatore. Quando vide le prime persone arrivare verso di lui cominciò ad essere nervoso: e se non l'avesse riconosciuto? Il suo sguardo si soffermò brevemente su di esse, non c'era nessun coreano, o meglio, nessun orientale. Si guardò intorno leggermente confuso: e se avesse malauguratamente perso l'aereo? In quel momento la sua attenzione fu attirata da un gruppo di bambini che schiamazzavano poi tornò di nuovo a girarsi verso i passeggeri in arrivo da Parigi. In realtà c'era una persona orientale e, accidenti, assomigliava veramente a Jackie Chan: lo stesso naso, gli stessi occhi, lo stesso sorriso. Sentì gli angoli della bocca piegarsi all'insù. Stava quasi per alzarsi in piedi per avvicinarsi a quell'uomo quando una voce insicura lo chiamò: "Commissario Cardelli?". Il suo nome era stato pronunciato perfettamente anche se la R risultava un po' liquida e separata dal resto del cognome.

Non mentirmi mai...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora