Capitolo 16

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Tropical cominciava ad avere crampi al cervello nel tentativo di pensare ai motivi per cui i suoi aguzzini stessero coprendo Black Death, insabbiando le sue tracce. Ora si trovava dolorante sia dentro che fuori e senza risposte. Per non parlare del fatto che la sua unica fonte di intrattenimento, a parte la sua brillante mente, si comportava da silenzioso patologico.

Tanto valeva chiamare Black Death e farsi dare un passaggio.

Sbuffò.- E' tutto inutile. Non scopriremo mai nulla stando rinchiusi qui dentro. Sto iniziando a sentirmi davvero abbandonata e la cosa non mi piace.- Avvicinò le gambe al petto e, circondandole con le braccia, appoggiò il mento sulle ginocchia. Era una posizione del tutto inusuale per lei, troppo remissiva. La fiammella del suo animo iniziò a risentire della mancanza di ossigeno per bruciare interiormente e si mise a vacillare. I suoi demoni iniziarono a scorrazzare e ad arrampicarsi l'uno sull'altro disordinatamente.

Poi all'improvviso, Arctic tirò fuori dal suo cilindro polare una domanda delle più inaspettate -Soffri molto perchè sei stata abbandonata?- Lei lo sentì sospirare e subito dopo riprese a parlare -Ho sentito dire che l'abbandono sia il trauma che causa più sofferenza nell'individuo.-

Tropical rimase sconcertata da ciò che le era appena stato chiesto. Non avrebbe mai pensato che Arctic fosse il tipo da fare domande così personali. Il suo primo istinto di fronte a tale evento inaspettato, ovviamente, fu quello di investirlo con una fiammata di sarcasmo. -Accidenti, non l'avrei mai detto. Avrei scommesso tutto sul fatto che il trauma più grande fosse la visione del primo piccione della propria vita. Sono esseri così subdoli che...-

Poi abbassò la testa, sentendosi leggermente in colpa. Accese un cerino con la sua fiamma interiore e, dopo un profondo respiro, decise di rispondergli seriamente. Gli interessava davvero o glielo stava chiedendo perché gli faceva pena? In ogni caso gli specchi su cui si sarebbe potuta arrampicare per evitare il discorso erano troppo scivolosi, dal momento che li aveva lucidati la mattina stessa.  Voleva solo risparmiarsi una caduta intellettuale dal retrogusto di Vetril.

-Comunque sì, sono stata abbandonata da piccola. C'è stato un momento... Davvero molto difficile. Avevo cinque anni e cinque mesi, lo ricordo ancora. Ero al parco con i miei genitori e ci stavamo divertendo ad attirare gli scoiattoli. Lì erano particolarmente audaci, non si facevano problemi a mordere le orecchie della gente. Avevo appena trovato il mio nuovo amico e lo avevo chiamato Scotty Lo Scoiattolo. Era davvero molesto, ma gli volevo bene. Gli davo da mangiare, lo coccolavo. Insieme abbiamo fatto molte cose,  abbiamo esplorato molti alberi, ci siamo rotolati giù da molte colline a cavallo di covoni di fieno... E poi ho deciso di mostrarmi per quello che ero veramente, di condividere i miei interessi con lui. Non volevo che mi amasse solo a metà.-

Tropical sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Aspettò un istante prima di arrivare al punto più difficile del suo racconto. - Quindi- tirò su col naso- presi dalla tasca gli accendini che portavo sempre con me. Li avevo ricevuti come regalo proprio per i miei cinque anni. E... Ne accesi uno. Scotty scappò tra le foglie. Non lo rividi mai più. Tutt'ora quando ripenso alle due ore bellissime che abbiamo passato insieme mi sento divorare da un dolore agghiacciante.- Terminò il suo racconto con le lacrime che scorrevano giù per le guance, esattamente come i loro covoni erano rotolati dalla collina, persi nello slancio del momento. Questo la fece singhiozzare ancora più forte.

All'improvviso sentì una mano sulla spalla. Non sembrava esperta nel rassicurare, si limitava a darle dei colpetti ad intervalli regolari. Eppure era l'unica fonte di conforto che aveva e vi si aggrappò con tutte le forze. Forse Arctic non era così spigoloso nel cuore dopotutto. Alzò il viso, asciugandosi le lacrime con le maniche. Il buio era ancora terribilmente fitto, eppure le sembrava di riuscire a distinguere i lineamenti di lui. Molto probabilmente nel suo Reparto Immaginazione stavano lavorando parecchio per far emergere l'immagine di Arctic, pixel dopo pixel, sullo schermo del suo cinema mentale. Decise di spingersi oltre anche lei, dopotutto Arctic il salto dall'iceberg dell'indifferenza l'aveva appena fatto. Prese la rincorsa e ricambiò la domanda personale. - E tu? Hai mai sofferto di abbandono?-

- Intendi a parte quello dei miei orsi polari cheerleader che invece di seguirmi sono rimasti nel mio igloo?- Tropical rimase semplicemente esterrefatta. Arctic sapeva fare battute? Non pensava che avesse un Reparto Ironia in quella sua calotta cranico-polare. -Ebbene sì, ne ho sofferto una volta. Ero piccolo anche io, non mi ricordo quanti anni avessi ma era prima che mi trasferissi qui. Mi trovavo nella nostra casa di montagna con i miei genitori, a Coldmountain. Vedi, mio padre era un uomo molto severo. Quello che tu chiameresti un uomo austero. O glaciale.-

Tropical riuscì a percepire attraverso la sua voce l'occhiolino che lui le indirizzò. Allora l'aveva ascoltata fuori dal locale! Aveva pensato che fosse una specie di buco nero che inghiottiva ogni suo insulto creativo e si era quasi rassegnata al fatto di doverli formulare solo nella sua testa. Non pensava di essere meno divertente per questo, ma se aveva un pubblico ovviamente le sembrava di essere più apprezzata.

-Mia madre invece era una donna buona, ma distante. Era sempre molto impegnata a guardare fuori dalle finestre. Guardava fuori da ogni finestra della casa, ogni volta dedicava circa due ore di osservazione a finestra. Smetteva solo durante i giorni di sole, che a Coldmountain si verificavano circa per mezz'ora in un arco di tre giorni nel periodo estivo. Fu in uno di quei giorni che accadde. Era il terzo giorno d'estate; mio padre si era stancato di vedermi seduto immobile su una delle poltrone del salotto. Lo deconcentravo, diceva che ero troppo pestifero per lui. Perciò prese me e mia madre e ci mise nello scantinato, chiudendoci a chiave. Io versai persino mezza lacrima, cosa mai successa fino ad allora e mai successa dopo tutto ciò. Fui debole. Mia madre, che di solito dedicava a me quelle mezzore di sole, come le chiamavo tra me e me, vedendomi versare quella mezza lacrima girò lo sguardo. Quel pomeriggio, fino a quando mio padre tornò a recuperarci per la cena, mia madre guardò fuori dalla finestrella dello scantinato. Scelse il sole.-  Arctic aveva raccontato con voce del tutto ferma e imperturbabile quello che doveva essere stato il ricordo più doloroso della sua vita.

Tropical era diventata un fiume di lacrime. L'immagine del piccolo Arctic in un clima così inclemente per un bambino e così lontano dal calore ricevuto dalla sua famiglia, fu il colpo di grazia. Non trovava nemmeno le parole per potergli comunicare che sentiva il suo dolore, per quanto non ci fosse passata in prima persona. Avrebbe voluto essere di supporto, ma non poteva esserci rimedio per un tormento di quella portata. Stava per balbettare qualcosa, quando all'improvviso un raggio di luce le colpì il viso. Si era aperta una porta che fino a poco prima risultava invisibile a causa della fitta oscurità che regnava in quella stanza.

-Che succede?- Chiese la ragazza, mezza disorientata e mezza disperata per il racconto appena udito.

-Abbiamo elaborato i nostri traumi legati all'abbandono.- Rispose semplicemente Arctic, cercando di alzarsi nonostante le gambe formicolanti.

Un sospetto emerse dal lago mentale di Tropical. Quella domanda non le era stata posta casualmente...- Tu lo sapevi!- Affermò, con voce tremante e provata dal pianto di pochi istanti prima.

- Anche per questo mi sono portato dietro il simulatore di emotività.- Detto questo si avviò all'esterno della stanza, senza aspettare che lei lo seguisse.

Time to dieWhere stories live. Discover now