Circolo vizioso

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Questo racconto partecipa al contest "Concorso San Valentino: Amori&Cuori infranti" con il profilo TenebrisIT

[1495 parole]

- E così vorresti sapere come sono finita qui, rinchiusa in questo castello sotterraneo? Non è una bella storia.

Sono sdraiata sul divanetto foderato in velluto, davanti all'ampio specchio da parete, e mi arriccio i capelli neri intorno al dito, guardando gli affreschi sul soffitto dal quale pendono ragnatele come macabri festoni.

- Me ne hai già raccontate tante, di storie non belle; la tua infanzia non è stata certo tutta rose e fiori - risponde lui con la sua voce bassa e cupa, avvolgente come una coperta. - Basta pensare che la tua migliore amica era la tua ombra.

Un risolino mi sfugge involontario dalle labbra.

- Era un'amica fedele, non mi lasciava mai sola. A eccezione della notte, ovviamente, quando si nascondeva nel buio della mia stanza. In un certo senso però era come se al calar del sole si espandesse, occupando tutti gli spazi e avvolgendomi in un abbraccio. Era la cosa più vicina al sentirmi amata che avessi mai sperimentato. Fino ad oggi, s'intende.

Volto la testa verso di lui e lo vedo sorridere sotto i baffi biondi, un angolo della bocca più sollevato dell'altro, come sempre, in un'espressione a metà tra l'affettuoso e il divertito.

- Tuo padre era il re e capisco che non avesse tempo per te, ma tua madre?

Sbuffo, infastidita.

- Nemmeno lei aveva tempo per me, impegnata com'era a rendere mio fratello perfetto. Tu non hai idea di quanto sia difficile preparare un ragazzino disubbidiente a diventare re, un giorno. Fatica sprecata, per come stanno ora le cose.

- E come stanno ora le cose?

Faccio un cenno distratto con la mano, come a scacciare una voluta di fumo.

- È morto, pace all'anima sua.

- L'avvenimento non ti rattrista?

- No, noi non ci parlavamo mai, era già tanto se quando ci incontravamo nei corridoi mi riconosceva. Nemmeno lui aveva tempo per me, troppo impegnato a ribellarsi a mia madre che cercava di trasformarlo in un sovrano impeccabile.

Con la punta di un piede nudo scaccio una grande falena nera che si è posata sul bracciolo del divanetto. Il vestito di broccato color vinaccia mi scivola fino ad arrotolarsi nella parte alta delle cosce, ma non me ne curo.

- E quindi come sei finita qui? - mi domanda nuovamente dopo un qualche minuto di silenzio.

- Riguarda mio fratello. Mio padre è convinto che l'abbia ucciso io, per invidia.

- E non è vero?

- No - rispondo con tono neutro, come se non mi importasse, accarezzando il corpo peloso della falena, ora posatasi sulla mia mano. - Ma tutti lo pensano perché mi piaceva fare l'alchimista, giocare con le sostanze velenose e mischiarle in modi imprevedibili. Avrei potuto ucciderlo, questo è vero, avrei potuto ucciderli tutti in mille modi, ma perché avrei dovuto farlo? Per invidia? Invidia di cosa, poi? I miei genitori avevano occhi solo per lui, ma non erano occhi colmi d'affetto: mio padre era il suo dittatore e mia madre la sua carceriera. Piuttosto che avere quel tipo di attenzioni è meglio essere ignorata.

Resto zitta, mentre penso che ora, chiusa in questa prigione maledetta, verrò ignorata da tutti e per sempre.

- Sai che se potessi verrei lì ad abbracciarti, vero? - risponde lui, mellifluo.

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