FRANGAR, NON FLECTAR

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La notte era calata su Seoul, nel ghetto le persone si muovevano come piccole formiche in cerca di qualcosa. Jungkook, Born To Raise Hell nelle orecchie, percorreva la breve distanza che lo avrebbe condotto agli spogliatoi. Non c'era niente a cui avesse voglia di pensare, la sua mente era bianca e doveva restare bianca.

I sentimenti gli procuravano solo dolore e, nonostante questo, non riusciva a reprimere il desiderio di conoscere. La sua ostinazione era pretenziosa. Non aveva mai sperimentato niente del genere verso nessuno e i continui rifiuti che gli propinava Taehyung, oltre a disorientarlo, lo ferivano. E Jungkook non lo accettava.

Aprì la porta degli spogliatoi, la musica riecheggiava nelle orecchie.

Nessuno conosceva il nome del proprio avversario prima dell'incontro, ma Jimin gli aveva accennato si trattasse di uno degli uomini di Seojun. Un gioco da ragazzi.

Entrando, notò che non c'era ancora nessuno. Seokjin era scomparso e di Taehyung nemmeno l'ombra. Sospirò. In quel pozzo di solitudine si percepiva l'assenza di un sorriso radioso e di un paio d'occhi mai troppo maturi. Sperò che Hoseok si stesse divertendo con Jiho in quel letto d'ospedale e che quella ragazza lo aiutasse a trascorrere del tempo.

La voce di Lemmy Kilmister gli impedì di udire il cigolio della porta e passi risuonare dietro di lui. Se ne accorse solo quando i passi furono così vicini da proiettare ombre allungate sul pavimento.

Jungkook non ebbe il tempo di voltarsi e fronteggiare i nuovi intrusi. Una botta alla testa gli mozzò il respiro; una delle cuffiette gli scivolò dall'orecchio, oltre ai calci e ai pugni non sentì nient'altro.

Spalancò gli occhi e si divincolò, ma due uomini lo afferrarono per le braccia e lo trattennero mentre un terzo gli scaricava una raffica di pugni sul ventre. Jungkook non conosceva quegli individui, non li aveva mai visti prima. Non erano né sotto il controllo di Yoongi né sotto quello di Jimin, lo capiva dalle uniformi che indossavano.

«Ehi! Ma che cazzo state facendo?!»

Fu la voce di Taehyung a salvarlo. I tre uomini abbandonarono la presa su Jungkook, che cadde a terra, e scoccarono un'occhiata al ragazzo prima di allontanarsi. Quando sparirono oltre l'uscio della porta, un paio di mani premettero contro il suo mento e gli sollevarono il viso.

Quelli erano decisamente gli occhi di Taehyung e si agitavano preoccupati sul suo volto. «Stai bene?» Domandò, inclinandogli la mascella per individuare altre ferite. Jungkook si liberò con uno strattone, pulendosi il labbro con il dorso della mano; quel coglione lo aveva fatto sanguinare.

«Da quando ti interessa se sto bene, Taehyung?» Ignorò l'occhiata interrogativa che gli scoccò l'altro e si alzò, non concedendogli altra attenzione.

«Sai che mi interessa.»

Jungkook aprì l'armadietto e lanciò il borsone al suo interno, un sorrisetto amaro sul volto. «Strano, visto che fai di tutto per mostrarmi il contrario.»

Una pausa.

«Jungkook, non puoi salire sul ring in questo stato.»

«Ascolta, Taehyung,» il ventre gli doleva, la frustrazione di essere stato costretto a ricevere senza possibilità di ricambiava bruciava e alimentava il crescente rancore che provava verso Taehyung, «Non ho voglia di litigare con te. Ieri è stato abbastanza.»

Ci fu un'altra pausa. Jungkook si comportò come se l'altro non esistesse, spogliandosi e rivestendosi, la mente occupata a elaborare gli avvenimenti succeduti in modo troppo rapidamente.

«Puoi dirmi perché gli uomini di Seojun ti stavano addosso?»

«Non sapevo nemmeno fossero gli uomini di Seojun.»

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookWhere stories live. Discover now