QUISQUE FABER FORTUNAE SUAE

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Aveva sempre creduto che la violenza non avesse volti, ma aleggiasse nell'atmosfera e fosse respirata dall'essere umano. Non credeva che potesse acquisire dei lineamenti splendidi, una zazzera bionda ossigenata, due occhi capaci di accoltellare e una schiena ricoperta d'inchiostro. 

«Andiamocene!».

La voce di Heejin sovrastava le altre, contrastando il turbinio confuso di urla e grida che si innalzava attorno a loro. Jungkook la guardò con occhi trasognati, velati dalla patina dell'incredulità, e scosse la testa. Non disse nient'altro, si limitò a un cenno di dissenso: non voleva perdere l'occasione di ammirare Taehyung coperto di sangue, trionfare sull'avversario, vincere

«Non possiamo rimanere qui-potrebbe vederci», continuò la ragazza, afferrandogli saldamente il polso. Jungkook avrebbe potuto allontanarla con pochissima forza, intimandole di stargli lontana e poter assistere all'inquietante spettacolo che gli si presentava davanti, ma si lasciò guidare oltre la folla. 

Riprese a respirare solo quando fu fuori il Danger, distante dalla macabra ricchezza degli spettatori, distante dal fascino cupo di quel posto.

Attorno a loro persisteva la notte, il freddo, il rumore vago del vento e probabilmente lo strisciare dei topi sotto i secchioni.

«Quello era tuo fratello», disse semplicemente Jungkook, lo sguardo fisso sul viso della ragazza. 

«Lo so perfettamente, fidati», Heejin sospirò, le maniche troppo lunghe della felpa che le coprivano le mani. 

Ci fu silenzio per un momento, nessuno dei due sapeva esattamente cosa dire. Si erano conosciuti casualmente al Vinyl Room, avevano parlato per poco tempo, e ora si trovavano legati dalla figura apparentemente solitaria di Taehyung e da ciò che combinava oltre l'orario di chiusura del Danger

«Da quanto va avanti questa storia?».

Questa storia riassumeva l'agglomerato di fattori confusionari che costituivano le lotte clandestine che si svolgevano nella palestra che, di giorno, non solo ospitava i suoi allenamenti, ma anche quelli di ragazzi giovanissimi.

Heejin si addentò il labbro inferiore, quella volta senza nemmeno una striscia di colore, e si appoggiò all'edificio dietro di sé, ignorando la sporcizia incastrata nei mattoni perché, insomma, chi viveva nel ghetto non poteva aspettarsi castelli d'avorio.

«Più o meno un anno e mezzo, ma l'ho scoperto solo pochi mesi fa», rispose lei, e dall'insicurezza della sua voce, sembrava fosse la prima volta che ne parlava con qualcuno. Jungkook osservò quella ragazza, d'un tratto troppo piccola e troppo fragile per il posto in cui vivevano, e sospirò. 

«Tuo fratello non sa che...».

«No!», sbottò lei, gli occhi attraversati dal lampo della paura. «E non devi dirglielo, intesi? Se lo scoprisse, probabilmente smetterebbe e se smettesse, tornerebbe a...», la voce si affievolì e Jungkook aggrottò la fronte.

«A...?».

«Non ha importanza», tagliò corto Heejin, che prese a torturarsi una ciocca violetta che sbucava dal cappuccio della felpa. «Tu non dirglielo e basta».

Molteplici domande affollavano la mente di Jungkook, troppe per essere soddisfatte da una ragazzina che, probabilmente, non ne sapeva molto. Ma decide di fare un tentativo, e di partire da quella apparententemente più semplice: «Come fai a conoscermi?».

La ragazza alzò le spalle, come se quella domanda non l'avesse messa in difficoltà. «Mio fratello mi ha parlato di te. Sei il nuovo arrivato, giusto? Quello che l'ha riaccompagnato a casa qualche giorno fa, che non è molto brav-».

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora