19. Bollito di manzo

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Timothy suonò a trillo il citofono, che emise un suono deciso, vibrante e prolungato. La schiena china e gli occhi cadenti sul cartoncino. Qualche momento d'attesa, forse troppi. Rimase lì ad aspettare con le gambe incrociate, ticchettando con le dita sulla porta scura, situata al termine di un corridoio spoglio e buio. Le carte da parati invecchiavano ulteriormente i muri già decrepiti per sé ed inscenavano una sembianza di ritorno agli anni '80. Un lampadario mezzo fulminato e pendente da un lato, di quelli a mezzaluna, tipici dei condomini, emetteva una luce sommessa ad intermittenza. Aleggiava una triste oscurità in quello spazio stretto e soffocante. Dietro Timothy essa avanzava sempre più man mano che ci si allontanava dalla debole sorgente di chiarore, al punto che la porta direttamente alle sue spalle, dall'altro lato del corridoio, ne era totalmente avvolta.

"Ciao tesoro"

Laura Montesi aveva aperto la porta e l'aveva abbracciato come se fosse partito per un lungo viaggio fuori casa ed avesse appena fatto ritorno, con il calore di chi ritrova una persona cara, o meglio la persona più importante della propria vita. Ma Timothy non aveva mai lasciato casa sua, né tantomeno il sorriso della madre. Era semplicemente un giorno come un altro, e come routine rientrava a casa dopo una 'strenua' giornata scolastica, passata a scarabocchiare distrattamente su fogliacci di carta e vagabondare con piacere nelle mille nuvole delle sue idee e dei suoi progetti.

Salutò la madre evasivamente, con una sorta di grugnito indecifrabile, che dopo un'attenta analisi poteva apparire come un 'ciao'. Era il suo modo di mostrarle affetto. Un modo bizzarro senza dubbio, ma dopotutto lui stesso era considerato bizzarro da chiunque lo conoscesse, perciò quantomeno poteva considerarsi coerente. Era realmente difficile afferrarne gli atteggiamenti e comprenderli, e bastava ascoltarlo solo una volta conversare, sebbene fosse un evento piuttosto raro, per avere di lui un'idea davvero strana e di conseguenza, come tutti erano soliti fare, appellarlo inequivocabilmente come malato mentale, autistico.

Laura sapeva del carattere del figlio, e molto spesso ci passava su, ignorando gesti che spesso l'avrebbero senza dubbio offesa. Lo vedeva come un preciso disegno divino avendo osservato varie situazioni simili a quella del figlio nelle sue svariate ricerche online. Non aveva la Wi-Fi dentro casa, ma nei momenti morti, quando tutti i suoi clienti avevano casa pulita, amava frequentare la biblioteca vicino casa, tanto che reinvestiva quei minuscoli gruzzoli che racimolava ogni fine mese nel suo abbonamento mensile per prendere in prestito romanzi gialli, una miriade di libri di cucina, che tanto adorava, e soprattutto manuali scientifici d'ogni tipo per Timothy, che non faceva che divorarne uno dopo l'altro in fretta e furia. Credeva in Dio ed aveva un appuntamento fisso la domenica mattina, che non poteva saltare se non in rarissime eventualità. In cuor suo sperava che vi fosse un'entità governante e suprema, qualcuno sulle nostre teste. Lo faceva come lo fanno i poveri, chi non ha nulla e implora le statue di generare situazioni illogicamente positive, fittizie ed improbabili, che abbiamo imparato a chiamare miracoli. Ed era altresì certa della connessione che esistesse tra la sublime, quasi spropositata, intelligenza scientifica del figlio e l'incapacità nelle relazioni sociali. Come se il buon Dio amasse l'equilibrio sulla nostra piccola Terra ed avesse filo-democraticamente deciso di dare ad ognuno un che di negativo ed un che di positivo. Dopotutto la sua tesi fragile reggeva nella ricerca delle prove concrete: da che viveva aveva incontrato casi di intelligenze estreme e disturbi filo-autistici, visibili chiaramente nelle relazioni sociali, e ragazzi con poca elasticità mentale ma perennemente circondati di estimatrici e gruppi portentosamente numerosi di amici e conoscenti. Il mondo funzionava così, che lo si voglia o no l'onnipotente Dio decise così all'origine dei tempi, e così fu.
Timothy era stato baciato dal dono della genialità, e di conseguenza non poteva intrattenere delle conversazioni decenti, mostrarsi spigliato, socializzare. O per lo meno questo era saldamente inciso nelle convinzioni della madre Laura Montesi, forse un po' ingenua di sé, o contaminata dalle false credenze che la fede provoca.
Tuttavia per ciò che successe quel giorno, possiamo dire che la povera Laura non avesse tutti i torti.

La porta si spalancò e mostrò l'umiltà di una dimora penosa negli arredi e negli spazi, ma diligentemente ordinata ed in estrema pulizia. Un divanaccio di cuoio in primo piano accoglieva l'attenzione, mostrando inevitabilmente le innumerevoli pieghe e gli strappi profondi sui bordi del bracciolo scolorito, che aveva l'aria di un anziano decrepito prossimo all'atto finale. Timothy ricordava ancora il tempo in cui la madre l'acquistò da un rivenditore di prodotti di seconda mano d'ogni genere. Lo pagò una nullità, facendo leva sulla compassione del commerciante per una poverella che non poteva proprio togliersi dalla tasca somme di denaro che superassero le due cifre. Eppure per Timothy fu un gioiello. Iniziò a saltarci su, a lanciarcisi sopra e persino a  dormirci la notte. D'altro canto non ebbe molto altro con cui giocare, e così ricevette il dono di saper apprezzare le cose di tutti i giorni. In quello fu davvero fortunato. Stesso discorso avvenne per la televisione a tubo catodico di fronte al divanaccio. Laura voleva dare al figlio come minimo una parvenza di casa normale e lottò con ogni forza in corpo per centellinare ogni spicciolo, per mettere da parte cifrette esigue dalle briciole che riceveva come assegni sociali che soddisfacessero qualche piccola necessità secondaria, che non fossero il cibo e le bollette. Fu difficilissimo far quadrare i conti e mettere un piatto caldo a tavola ogni sera, dovendo contemporaneamente prestarsi ad accudire a tempo pieno Timothy, ancora troppo piccolo per affrontare le mansioni quotidiane autonomamente ed accettare ogni tanto la casalinga solitudine, che avrebbe permesso alla madre di raccattare qualsiasi lavoro le fosse capitato di mano e risanare almeno in parte le casse di famiglia.  Nessun parente dal regno dei morti o dal più profondo oblio poteva dimostrarsi propenso a sollevarla dalle impellenze da madre, né lei aveva la possibilità di ingaggiare qualcuno che lo facesse in cambio di denaro. Così Laura passò gli anni più dolci ed infernali della sua vita trainando da sola un carretto davvero pesante. Un macigno.

Quel giorno fumava dalla pentola qualcosa e si percepiva persino un certo profumo di carne bollita. Con il lavoro assicurato, sebbene non estremamente remunerativo, Laura aveva quantomeno l'orgoglio di presentare sempre qualcosa in tavola per il figlio, e talvolta, quando il numero dei clienti prosperava, anche per sé. Certo, in quel periodo la situazione non era delle più floride, ma era riuscita a buttare in pentola un discreto quantitativo di bollito di manzo. Si sentì felice, come era solita sentirsi non appena muoveva un piccolissimo passo verso la normalità, o ciò che è intesa comunemente come tale. 

"Amore, vieni a mangiare"

Timothy era entrato a passo svelto dalla porta. Un'occhiata sfuggente alla madre per poi rivolgere il proprio viso al pavimento e camminare senza tregua verso la sua stanza. Non fece caso alle sue parole e continuò imperterrito a vagare nel mondo delle più infinite congetture mentali a lei oscure.

"Timothy, vieni, è pronto!"

Era appena entrato nella sua stanza e sembrò non intenzionato ad invertire la rotta completamente assorto nei suoi pensieri. 

"Non posso" Bofonchiò sottovoce.

"Come non puoi?! Che significa?! Vieni, dai!"

Laura si fece prendere dall'impulsività e rispose inconsapevolmente con tono duro. Pur riconoscendo che non fosse sbagliato alzare la voce conosceva il modo con cui doveva relazionarsi con Timothy. Non era un ragazzo normale e perciò necessitava di trattamenti particolari. Non potè reggere la botta della sfuriata, così che si chiuse la porta alle spalle e si barricò in solitaria nella camera girando la chiave, che la madre aveva sbadatamente lasciato inserita nella serratura mentre spazzava per terra.

Una piccola lacrima solcò il viso di Laura, che intanto continuava ad osservare la carne fare su e giù nell'acqua bollente. Si sentì improvvisamente piccola piccola, mentre il pianto s'irrobustiva e diventava un oceano. 




QUANGLE. La libertà di sparireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora