38. Anche io voglio vedermi felice

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Non so precisamente se sto urlando, o se le parole mi si sono bloccate in gola a causa del panico che si manifesta in me, o se sto stringendo talmente forte la mano di Gabriel da fargli male.

Ma quando mio padre entra nella stanza, e mi osserva con un sorriso, mi rilasso e lo ricambio.

Il signor Thompson si avvicina a me.

«Sophie.» mi chiama, sedendosi nel lettino accanto a me. «È da tanto che non ci vediamo.»

«Signor Thompson, lei non era in viaggio per lavoro?» gli chiedo, sentendo l'ansia lasciare il mio corpo.

Annuisce. «Sì, ma sarei comunque tornato tra qualche settimana, perciò appena ho saputo di ciò che è successo, ho anticipato la partenza.»

Inevitabilmente, sorrido. «Non doveva.»

«Invece sì.»

Un movimento accanto a me mi fa voltare verso Gabriel, il quale è sceso dal letto. Si china sul mio volto, lasciandomi la mano che è rimasta stretta alla sua per tutto il tempo, e mi mostra un lieve sorriso.
«Sono qui fuori, se hai bisogno.» mi sussurra, lasciandomi un veloce bacio sulle labbra.

«Perché non vai a casa? Sei qui da parecchi giorni. Hai bisogno di riposare.»

Gabriel scuote la testa con decisione. «Non vado da nessuna parte.»
Dopo ciò, lascia la stanza, guardandomi un'ultima volta prima di uscire, come a dirmi che, per qualsiasi cosa, lui c'è. È esagerato adorarlo quand'è così tenero e ostinato?

«E lui chi è?»

Sposto lo sguardo sul signor Thompson, il quale ora ha un sorrisetto sul volto che mi fa ridere e alzare gli occhi al cielo allo stesso tempo.

I lineamenti del viso mi ricordano quelli di Kyle; gli occhi sono blu come l'oceano, in contrasto con i capelli neri. Kyle e Perrie hanno preso dal padre il colore degli occhi.

«È il mio ragazzo. Si chiama Gabriel.» rispondo, leggermente in imbarazzo.

È passato un anno dall'ultima volta che ho visto il padre di Kyle. Ammetto che ero molto legata all'intera famiglia Thompson, e il fatto che lui dovesse partire ha reso triste anche me.

È stato il primo a sapere della storia di mio padre. Già, lui ne è a conoscenza.
Ho scoperto tempo fa che conosceva mio padre. Lui sa dei suoi modi di fare, e presto ha capito come si comportava con me. Gli ho detto che aveva smesso, per rassicurarlo, anche se era una bugia, sperando che non intervenisse e si immischiasse con questa faccenda.

«Si comporta bene con te, vero? Perché sennò dovremmo fare una bella chiacchierata io e lui.» il suo tono è divertito, ma so che, se fosse necessario, mi proteggerebbe.

È una caratteristica bellissima dei Thompson.

«Sì.» rido. «È un bravo ragazzo.»

Ed è vero. Gabriel, non glielo direi mai a causa del suo ego smisurato, ma è fantastico.

«Signor Thompson.» lo chiamo.

In altre situazioni mi avrebbe detto di non chiamarlo così, di usare il suo nome, poiché ormai faccio parte della famiglia, ma questa volta rimane in silenzio.
Forse il mio tono risulta troppo preoccupato.

«Lei sa perché sono qui, vero?»

In risposta, sospira, annuendo e prendendomi la mano. «Sì, tesoro. Kyle mi ha raccontato tutto.»

«Cosa ne pensa?» chiedo con un leggero timore.

Lui mi guarda negli occhi, serio. «Che la polizia lo prenderà. Dovrai aiutarli, verranno a parlarti il prima possibile, e tu dovrai dire tutto ciò che sai.»

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