31. Non riesco a lasciarti andare

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«Gabriel, giuro che ti uccido.»

Pur sapendo di non ottenere alcun risultato, sferro due forti calci alla porta.

«Stai sprecando tempo.»

Lancio uno sguardo di fuoco a Gabriel, il quale è seduto sul pavimento del ripostiglio. Ha le mani svogliatamente appoggiate sulle ginocchia, mentre osserva i vari strumenti che dovremmo usare in palestra se il professore ci facesse fare qualcosa di diverso dalla corsa.

Rinuncio al mio tentativo di scappare da questa situazione e mi lascio andare a un sospiro, rassegnandomi.

«Dovevi proprio chiuderci qui dentro?» pronuncio le parole a denti stretti, scivolando contro la porta.

«Sì.»

«Idiota.»

«Preferisco "tenero sciocchino".»

Il mio tentativo di rivolgermi a Corinne è andato in fumo in un attimo. Gabriel, contrario alla mia decisione, ha trovato modo di impedirmelo. Ero arrivata in palestra, intenzionata a trovare Corinne, quando lui mi ha raggiunto e mi ha caricato in spalla. L'assenza della maggior parte degli alunni che, al suono della campanella, hanno raccolto le loro cose e sono usciti, ha favorita a Gabriel il mio trasporto in questo piccolo ripostiglio in cui ci ha chiusi dentro.

Il mio nervosismo sarebbe minore se solo non avesse gettato la chiave fuori dalla stretta finestra rettangolare sigillata da quattro sbarre verticali.

«Nessuno verrà ad aprirci.» mi accomodo sul pavimento e racchiudo la testa tra le mani. «Moriremo qui.»

«Che drammatica.» commenta, reclinando la testa all'indietro, contro l'ampia cesta delle varie palle da gioco. «Rilassati. Ci sono io a farti compagnia.»

«In questo momento la tua compagnia è l'ultima che voglio.» borbotto.

La colpa è sua se ora mi ritrovo qui, a sperare che qualcuno venga ad aprirci e mi salvi da una terribile sorte che aspetta solo che io torni a casa con un solo minuto di ritardo.

«Come vuoi.»

«Non fare l'offeso.» ruoto gli occhi al cielo.

«Non sono offeso. Solamente... non darmi la colpa.» replica pacatamente, gli occhi puntati sulle sue mani.

«Ma è colpa tua!»

«Di questo passo la permanenza qui sarà molto sgradevole.»

Lo ignoro, poiché se stessi a sentirlo rischierei di impazzire e afferrare la prima cosa che mi capita per colpirlo in testa e aspettare di vederlo sanguinare.

Mi appoggio contro la porta e ritraggo le ginocchia al petto, le quali ospitano tutta la mia stanchezza.

«Chiama Kyle e digli di venire ad aprirci.» suggerisce Gabriel, ovvio.

«Non ho il telefono.»

«Lo chiamo io.»

«Non hai il suo numero.»

«Dammi il numero.»

«Giusto.»

Stranamente, lo ricordo a memoria. L'unico numero di telefono che io abbia mai memorizzato, e anche su quello sono un po' incerta, è il mio.

«Qui non prende.» lo sento sospirare. «Siamo fottuti.»

«Smettila. Se non fosse stato che non volevi assolutamente che parlassi con Corinne, non saremmo qui.» dico acida, nascondendo meglio il viso tra le ginocchia.

Devo trovare una soluzione.
Mio padre è particolarmente nervoso in questi giorni. Un mio non ritorno a casa non farebbe altro che infastidirlo.

«Davvero sei innamorata di me?»

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