CHAPTER ONE

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Respirare.
Doveva respirare, ma più l'aereo saliva e più sentiva crescere dentro di lei la voglia di scendere da lì.
Respira Jane!
Lei e l'altezza non erano mai state molto amiche. 
Sentiva dentro di lei un formicolio e una voce che la implorava di non guardare giù. Ma lei non ascoltava nessuno. E spinta dalla curiosità di sapere a che altezza era arrivata, portò la testa in direzione del finestrino e la prima cosa che vide furono le nuvole. Le nuvole erano alla sua altezza, nella sua stessa altezza d'onda. Non poté fare a meno di sorridere.
Una nuova sensazione la invase e in un attimo la nausea le risalì in bocca facendole fare un verso di tosse. Grugnì e le parve di non vedere. Per un attimo si spaventò e si ritrovò subito in piedi alla ricerca di aria... e di un sacchetto per vomitare.

Menomale che il viaggio durò solo due ore per arrivare all'aeroporto di Boston, fu il suo primo pensiero quando scesero dall'aereo.
In men che non si dica fu immersa in una folla di persone che la soffocavano solo stando le vicina.
Faceva caldo. Troppo caldo.
E lei non respirava quasi più.
Prese i borsoni che gli porse suo padre mentre lui e la madre si riempivano di valige.
Erano in tre. Avevano lasciato il cane dai nonni a Manhattan.
Ogni persona aveva portato con sé solo una valigia e un borsone. Per non ingombrare. Avrebbero usufruito di più spazio, spazio che si chiudeva con quello di cui si erano limitati.
Jane aveva tre borsoni in mano, Vanessa, la madre, portava la valigia più grande, mentre James teneva entrambe le mani occupate da due valige piccole.
Il minimo indispensabile, avevano detto. Allora perché quelle borse sembravano riempite di pietre?

Dall'aeroporto al taxi più vicino ci misero venti minuti buoni di camminata.
Jane era stanca, voleva sdraiarsi e dormire per almeno dieci ore consecutive. Si disse che appena sarebbe arrivata al nuovo appartamento, si sarebbe buttata sulla prima cosa comoda che le fosse capitata. Aveva gli occhi stanchi che si stavano per chiudere e delle occhiaie da far paura ad un vero mostro.

Il viaggio in taxi non durò molto, ma fu silenzioso.
Ce l'aveva ancora con loro per averla fatta trascinare in un luogo dimenticato da Dio solo perché credevano che ci fosse qualcuno capace di placare la sua rabbia. Lei invece credeva che nessuno l'avrebbe aiutata. Ce l'avrebbe fatta da sola. Non ci voleva andare a quelle sedute.
Possibile che non avevano trovato uno psicologo in città e dovevano spostarsi loro per una cosa del genere?

Non voleva farlo.

Una volta arrivati sotto casa, il tassista chiese i soldi e mentre lei tirava fuori le cose, loro parlavano con il signore per un compromesso. Non avevano abbastanza soldi.

Chiese le chiavi alla madre che aveva iniziato ad aiutarla a portare dentro tutto quanto.
Il tassista aspettò che la macchina si svuotasse delle loro valige e ripartì velocemente.

"Chi ha le chiavi?" parlò lei, la prima a rompere il silenzio tra tutti.
Sentì sbuffare suo padre, che dovette appoggiare tutto a terra per recuperarle. Frettoloso, alla fine riuscì a prenderle. Quando aprì, la prima stanza si rivelò essere una mini cucina. Portava al salotto. Tutte le porte di casa erano aperte e ogni stanza conduceva ad un altra, da quello che vedeva.
La cucina portava al salotto e il salotto portava ad un corridoio.

Jane lasciò le valige e prima di dileguarsi a visitare il posto, si girò verso i suoi genitori e gli mostrò un lieve sorriso.

Corse per il corridoio e rivelò anche le altre stanza scoprendo che la prima porta a destra era il bagno, e le altre due probabilmente le camere da letto.

Prima porta a destra, memorizzò ed entrò per svuotare la vescica. Voleva arrivare a letto il prima possibile, ma molte cose ostacolavano il suo obbiettivo.

Doveva andare in bagno, portare ancora le sue cose in camera, liberarsi della giacca, mangiare, lavarsi i denti...
Non le importava, non aveva voglia. In quel momento aveva bisogno di dormire, e ci mise poco a capire quale fosse la sua stanza. Si chiuse la porta alle spalle e  si lasciò cadere nel materasso. Doveva anche mettere le lenzuola, ricordò.

Quel materasso puzzava di gorgonzola. Fece una smorfia e si tirò su a sedere.
No, non avrebbe dormito lì nemmeno sotto tortura.
Sbuffò e uscì da lì per recuperare le sue cose e quindi prendere delle lenzuola da mettere prima di stendersi di nuovo.

Si accigliò nel pensare che c'era fin troppo silenzio. Cosa stavano facendo quei due? Uscì nuovamente dalla stanza e incuriosita appoggio un orecchio sulla porta della loro camera, ma c'era silenzio. Ancora.

Allora dovette spostarsi in salotto, e da lì poté vedere che neanche in cucina c'erano.
Magari erano fuori a fumare...

E invece no.

Tornò dentro, faceva freddo, e li cercò nuovamente in cucina. Trovò però un foglietto, doveva avevano esplicitamente spiegato che erano andati a prendere la pizza per cena.
Uff, non potevano ordinarla per telefono? O da quelle parti non si poteva fare? Ma cosa stava dicendo, ormai dappertutto si poteva ordinare via telefono.

Si mise a sedere nel divano, mentre li aspettava.
Senza fare niente. A fissare lo schermo nero dalla televisione e a pensare a quanto sarebbe stato difficile ricominciare tutto daccapo.
Per la seconda volta.

*****

Rieccomi.
So che la storia vi piace, sono contenta di essere arrivata a 20 visualizzazioni in un solo giorno.
Grazie!!! 😘

A breve ci sarà il prossimo aggiornamento.

*Se ci sono sbagli grammaticali, ditemelo che così poi li correggo.*

~ Andreeeee

WHITE WOLF Where stories live. Discover now