46. Nathan: Niente è passato

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Travestiti da Portatori, entrammo.

In realtà, in quel laboratorio, non tutti erano Portatori. C'erano molti Imperium, ex Ribelli, che lavoravano come mercenari.

Gli Imperium erano molto più comodi dei Portatori, poiché molti di loro erano degli adulti. I Portatori tendevano ad essere troppo giovani ed emotivi.

Sapevo esattamente dove andare, nonostante non fossi mai stato in quel luogo. Se avessi mostrato esitazione mi avrebbero scoperto. Sarebbe risultato strano se una guardia sembrasse spaesato nel luogo in cui lavorava.

«Ehi, siamo noi di turno adesso» dissi al Portatore che faceva da guardia alle porte per le stanze in cui volevamo andare.

«Come? Ho ancora due ore» si accigliò quello guardando il suo orologio.

«Non è possibile. Mi hanno contattato ieri dicendo che dovevo venire in anticipo perché avevano un incontro importante oggi» affermai con sicurezza sostenendo lo sguardo del mio interlocutore.

Se si parlava con certezza e sicurezza, anche la più insensata delle bugie diventava realtà.

Vidi la mia preda esitare. Nemmeno lui era certo.

Era così preso nel ricordarsi il suo orario di lavoro che non si era nemmeno chiesto chi fossi o se lavorassi veramente lì.

«Guarda, a me va anche bene che tu rimanga. Il problema è che se superi il tuo orario potrebbero sospettare di te, sai quanto sono pignoli. E sai che ti fanno qui se sei sospetto...» dissi abbassando la voce.

«Allora mi ritiro» disse immediatamente come da manuale.

«Ma come mai siete in due? È sempre bastata una sola guardia...» chiese prima di andare.

«Te l'ho detto. Hanno un incontro importante. Le guardie sono raddoppiate ovunque» commentai con noncuranza.

Il ragazzo annuì alla sentenza e si allontanò.

«Certo che menti con una tale facilità...» commentò Eira sorpresa.

«Sono un attore nato» replicai mentre staccavo il pannello e disattivavo l'allarme.

Poi potei sfondare la porta.

«Ti sei occupata delle telecamere come ti ho chiesto?» chiesi mentre scavalcavo con leggiadria il cumulo creato dalla porta rotta.

«Ancor prima che me lo chiedessi» commentò la ragazza con il mio stesso tono leggero.

La guardai con interesse.

Ero curioso. Da quella volta nella quale mi aveva quasi tranciato un orecchio non l'avevo più vista aggressiva nei miei confronti.

Mi chiedevo il perché.

Ai lati del lungo corridoio grigio c'erano stanze ermetiche vuote, ma con la luce led accesa. Riuscivo a vedere così l'interno e dedurre quanto tempo fosse passato dall'ultimo abitante in quelle stanze.

È una prigione. Erano le uniche parole del rapporto che avevo letto.

Erano prigioni diverse da quelle della Base in Philadelphia. Qui i carcerati erano innocenti.

La loro unica colpa era essere speciali.

Nelle profondità si trovavano i veri pezzi da collezione.

Forzavo ogni serratura o per quelle con porte più spesse. Al mondo non esisteva qualcosa che non si potesse distruggere con la forza bruta.

«Non sarebbe più comodo bypassare direttamente il programma delle serrature?» chiese Eira comparendo al mio fianco.

Elements: RimastaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora