Però la rabbia sarebbe passata in secondo piano, di lì a pochi minuti.

Perché lo avrei osservato, con un senso di colpa, e immenso amore, ricambiando il suo sguardo dopo l'inno della Serie A a pochi secondi dal fischio d'inizio.

E poi mi sarei alzata in piedi per lui, applaudendo e con il cuore che poteva scoppiarmi nel petto, vedendolo segnare, contro l'avversario con cui, proprio nella stagione passata, aveva segnato il suo ultimo gol.

Lo avrei ammirato, esultare felice, travolto dall'abbraccio dei suoi compagni, e dalle urla dei suoi tifosi, verso i quali si era girato, grato, portando una mano sul cuore.

Poi Cristiano lo aveva travolto in un abbraccio, dopo che Paulo aveva alzato gli occhi e le braccia al cielo nella sua solita dedica, soltanto più vera, quella sera.

Poi aveva ricambiato il suo abbraccio sincero, nascondendo gli occhi ricolmi di lacrime.

Lo avrei guardato, con gli occhi pieni e il cuore scoppiettante nel petto, guardare da lontano nella nostra direzione, facendo un segno di vittoria con il pugno chiuso, per poi mandare un bacio, due baci, alle sue donne.

Lo immaginavo, perché mi veniva talmente facile farlo, e più volte mi era capitato, lui, con lo sguardo verso il basso, sorridere al suo bambino.

Completamente, immensamente fiero, di ciò che era stato capace di diventare.

***

Dopo la fine della partita, lo aspettiamo ansiosi, con quella voglia di abbracciarlo grande quanto un edificio di New York.

Ma di Paulo nemmeno una traccia.

Non rispondeva al telefono.

Lo aveva staccato, dopo un paio di chiamate da parte di sua madre andate a vuoto.

I messaggi su Whatsapp non gli venivano nemmeno consegnati.

Douglas ci avvisa della sua fuga in solitaria, subito dopo le docce, sfuggendo anche alle interviste, con la sua Jeep.

Era scappato.

Da solo.

E chissà dove.

Sua madre ha lo sguardo fisso sullo schermo del suo cellulare, fermo sul nome di suo figlio, che non smette di cercare di contattare.

Se potesse, lo fulminerebbe.

Nahuel tira per mano la sua ragazza, avvisandoci che ci avrebbe accompagnate a casa.

"Quando fa così dobbiamo lasciarlo fare", ci spiega, come se non avesse di fronte sua madre e la sua fidanzata, ma due semplici conoscenti.

Certo che lo sapevo.

Solo che, a differenza mia, loro non immaginavano nemmeno dove potesse trovarsi.

Io ne ero più che sicura.

"So dove si trova – affermo, una volta in auto – vorrei che mi ci accompagnassi", aggiungo poi, fredda.

Nahuel annuisce, nascondendo un piccolo sorriso che scorgo dallo specchietto retrovisore, e che ricambio in uno sguardo complice.

Anche lui lo sapeva, ed era felice, per quello che gli avevo detto.


Una ventina di minuti più tardi, sono impegnata nel salire a piedi l'ultima, ripida salita maledetta, che porta al monte dei Cappuccini.

Se solo poi non mi ripagasse con quella vista spettacolare, credo che non ci sarei mai più voluta tornare per il resto della mia vita.

Una volta in cima, noto un'unica macchina parcheggiata, anche male, sulla strada.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora