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"Devi smetterla di darmi bidoni dopo l'università", mi dice Simona con un dolcissimo broncio sulle labbra.

"Hai ragione, ma dovevo risolvere questa cosa con Paulo", mi giustifico, mortificata.

"Come sta andando tra voi?", mi chiede, mentre mi accompagna all'uscita, in cui penso che Paulo mi stia aspettando.

Mi sbagliavo, dato che una volta fuori, della sua auto non c'è traccia.

"Alti e bassi. Diciamo più bassi, ultimamente. Ma solo perché siamo due cretini", le comunico, lo sguardo che si muove un po' tutt'intorno mentre cerco di riconoscere tutte le persone che mi salutano con la mano.

Erano diventate davvero tante, senza che le conoscessi davvero.

"Passerà. Troverete un modo. Lo trovate sempre, voi", ammette, sincera, rassicurandomi e abbassando la voce quando sente un rumore di auto avvicinarsi a noi.

Paulo arriva a bordo della sua Jeep nera, accostando di fianco a noi e abbassando il vetro del finestrino.

I sedili in pelle chiara mettono in risalto il suo volto abbronzato, coperto da un cappellino nero e degli occhiali da sole dello stesso colore.

Ci saluta, togliendosi gli occhiali e mostrandoci un sorriso a trentadue denti, che lo rende ancor più bello di quanto lo sarebbe stato anche intravedendolo dal finestrino chiuso e dai vetri scuri.

Potrei odiarlo, per quanto sia bello, dato che io venivo fuori da otto ore di lezione di biologia e chimica e non mi guardavo allo specchio da ancora prima.

Simona lo ignora volontariamente, regalandogli un sorriso falso e dandogli poi le spalle.

Deve non avergli perdonato ancora gli insulti che mi aveva riservato la sera in cui aveva scoperto del test, che poi le avevo elencato.

E il fatto che fosse la causa dei miei bidoni nei suoi confronti.

"Uno di questi giorni andiamo a cena insieme. Solo noi due. Promesso", le dico, salutandola con le mani giunte e poi facendo il giro dell'auto per salire dal lato del passeggero.

Paulo ci osserva, seguendo i miei movimenti, per poi riportare lo sguardo su di lei.

"Non vieni con noi?", le chiede, stranito.

"Sono stravolta, non credo riuscirei ancora a camminare per il centro senza sembrare uno zombie", lo informa, cominciando a camminare e allontanandosi dall'auto.

"Allora dai sali, ti accompagno a casa", tenta ancora Paulo, indagando sul suo strano comportamento nei suoi confronti.

Nessuna delle mie amiche era forse mai stata arrabbiata con lui.

A parte Alessia che, per quanto gli volesse bene, lo avrebbe per sempre ritenuto la causa della mia partenza da Perugia prima del previsto.

"No, grazie, raggiungo Carlo in un bar qui vicino e torno con lui. Divertitevi, ragazzi. Tu salutami Florencia", la sua ultima raccomandazione, puntandomi il dito contro per poi darci le spalle e raggiungere la fermata del tram.

Mi arrampico per salire su quell'auto esageratamente alta, portando poi lo zaino color cuoio sulle mie gambe ed osservando divertita il cipiglio aggrottato di Paulo.

"E' strana", dice, alzando il finestrino e poggiando la mano destra sul cambio.

"Ti odia perché le stai rubando troppo spesso la sua fidanzata preferita", lo informo, muovendo le dita sullo schermo dell'auto per cambiare stazione radio.

"Si dà il caso che tu sia anche la mia fidanzata preferita", ribatte Paulo, il tono di voce di qualche tonalità superiore sull'aggettivo "mia".

Afferra il mio zaino e lo poggia nei sedili di dietro, poi porta la mano destra sul mio ginocchio.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora