XIX: Toto Wolff

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Non saprei come descrivere le mie sensazioni al momento.
Non so nemmeno io come mi sento.
Sono ancora sotto shock, non ho ancora realizzato del tutto quello che è successo.
A volte non sono neanche sicuro che sia reale, ogni tanto mi ritrovo a pensare che sia un sogno, perché è tutto così assurdo da non sembrare vero.
Com'è potuto succedere?
Perché è successo a lui?
Ancora non me ne capacito.
Non può essere possibile.

Sono stato il primo a ricevere la notizia, ma ricordo poco e niente di quegli istanti.
Non mi tornano in mente le parole esatte pronunciate da suo padre, e forse non vorre nemmeno ricordarle.
L'unica cosa di cui ho memoria di quel momento è il mio silenzio, durato qualche secondo, subito dopo aver sentito quelle parole, e poi il telefono che mi scivolava dalle mani, che non avevano più la forza per stringerlo, cadendo a terra.
Tutto quello che è successo dopo non lo ricordo.
Ero in uno stato di trance, dal quale non penso di essere del tutto uscito, e non riuscivo a realizzare in nessun modo.

Non ho pianto.
Non ho versato nemmeno una lacrima.
Non perché io sia forte o perché mi sia trattenuto, semplicemente perché non ne ho sentito il bisogno.
Non riesco a trovare neanche la forza di piangere.
Sono così sconvolto che non rieco a fare nulla, mi muovo a stento, mi sento completamente perso.
Solo stamattina sono riuscito a trovare la forza per alzarmi dal letto, non mi sarei perso questo momento per nulla al mondo.

È un'occasione per dare un ultimo saluto a Lewis, per noi che non abbiamo avuto l'opportunità di farlo mentre era fra noi.
E questa è la cosa che mi fa stare peggio.
Il non avergli potuto dire addio.
Il non aver potuto dirgli che è una delle persone migliori che abbia mai conosciuto, che lavorare con lui per tanti anni è stata un'esperienza unica, che gli devo tanto per tutto quello che ha fatto per me e per la squadra, che è un grande campione, che il nostro rapporto non è semplicemente quello tra un pilota e il suo team manager ma è molto di più.

Avrei voluto dirglielo.
Non credo di averlo mai fatto.
Ho sempre mantenuto la solita freddezza che mi contraddistingue, anche con lui, soprattutto quando c'era da fare complimenti o dimostrazioni d'affetto.
Probabilmente lui pensa che io lo veda solo come il pilota del mio team.
Ma non è così.
In questo momento vorrei che fosse stato così, forse adesso non starei in questo modo, non soffrirei così tanto.
Ma purtroppo per me lui è molto più di questo.
È un amico, a volte un po' un figlio, certe un po' un fratello.
Di certo, gli voglio bene.
Come non ho mai voluto bene ad uno dei miei piloti.
E il fatto che fra tanti sia stato proprio lui ad essere portato via, è una cosa che mi fa paura.
Perché vuol dire che neanche le persone migliori sono immuni al destino.

Sì, Lewis è una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto.
Ho iniziato a rendermene conto troppo tardi forse.
Per molti anni Lewis è stato per me e per il resto del mondo quello della rivalità con Nico, nient'altro.
Tutti lo vedevano in quel modo, molti l'hanno visto con gli stessi occhi fino al giorno della sua morte.
Ma chi lo conosce, sa che non è così.
Sa che Lewis è uno dei ragazzi più gentili, generosi, disponibili, affettuosi e amorevoli sulla faccia della terra.
E non è un frase dettata dalle circostanze o dal momento.
Io, come credo anche tutti gli altri, abbiamo sempre pensato queste cose.
Forse non ce ne siamo resi conto, ma le abbiamo sempre pensate.
È impossibile fare altrimenti.

"C'è qualcuno che vuole aggiungere qualcosa?" domanda il sacerdote, alla fine dell'omelia, interrompendo bruscamente i miei pensieri.
Subito molti occhi si puntano su di me, e io mi volto di scatto verso Valtteri, che mi rivolge uno sguardo carico di sofferenze e annuisce, sorridendo leggermente, invitandomi a salire sull'altare con un gesto del capo.

Faccio un respiro profondo e con un po' di fatica mi alzo dal banco, prendo il casco di Lewis che ho di fianco a me, insieme ai suoi guanti, e poggio tutto sulla sua bara, per poi andare verso il leggio.
Non ho preparato alcun discorso, per questo do semplicemente voce a quelli che sono i miei pensieri.

"Valtteri prima ha detto di non voler parlare di quello che Lewis ha rappresentato per noi prima della sua morte.
Bene, vorrei farlo io.
Lewis lo conosciamo tutti, sappiamo tutti che tipo di persona è, ma penso che valga la pena ricordarlo, anche se riportare a galla certi ricordi può risultare doloroso.
Lewis per ognuno di noi è una cosa diversa.
Per qualcuno è un amico, per qualcun altro un fratello, per altri un figlio, per qualcuno addirittura un padre.
Ma la cosa veramente significativa, è che Lewis ha per ciascuno di noi un'importanza, un posto speciale nella nostra vita.
Lewis è tutto tranne che insignificante.
È impossibile provare indifferenza nei suoi confronti, quel ragazzo è troppo speciale per essere ignorato.
Lewis è così tante cose che non saprei nemmeno da dove iniziare.
Una cosa che mi ha sempre colpito e affascinato di lui è la sua bontà.
Riesce ad essere buono con chiunque, anche con chi lo disprezza, riesce a fare del bene e a farlo sinceramente anche a chi non lo meriterebbe.
L'anima di quel ragazzo è un qualcosa di inestimabile.
Una delle più pure e limpide che abbia mai incontrato nella mia vita, quasi come quella di un bambino.
Perché sì, un po' Lewis è anche questo.
Lewis è vita, e soprattutto, è vivo.
E resterà vivo per sempre.
Perché fin quando qualcuno di noi si ricorderà di lui, fin quando qualcuno di noi penserà a quello che Lewis Hamilton ha portato nella sua vita, lui sarà sempre vivo.
In un modo diverso da quello in cui vorremmo, ma pur sempre vivo.
Per questo durante tutto il discorso ho parlato di lui al presente.
Perché lui non se n'è andato, perché continuerà ad esistere in ognuno di noi, e se continuerà ad essere qui e a far parte delle nostre vite, vuol dire che Lewis è presente, non passato.
Fin quando il suo ricordo influirà sulle nostre vite, e penso che questo succederà fino alla fine dei nostri giorni, lui continuerà a vivere.
Lewis al momento è tutto, tranne che morto.
Non è fisicamente con noi, ma non ho mai sentito la sua presenza così tanto come la sento adesso.
In ciascuno di noi c'è una parte di Lewis, e adesso che siamo tutti insieme, che tutti i pezzi si ricompongono, si sente che è qui.
Lewis è in Sebastian che poggia la testa sulla spalla di Kimi per trovare supporto, è in Lando e George che si stringono le mani per darsi forza, è in Pierre e Charles che si abbracciano per consolarsi, è in Daniel e Max che si guardano e si promettono silenziosamente che ci saranno l'uno per l'altro, è in Esteban che si rifugia fra le braccia di Lance per trovare fiducia, è in Valtteri e Pascal che piangono in solitudine perché non vogliono condividere il proprio dolore, è in Sergio e Nico che cercano insieme il coraggio di trattenere le lacrime, è in Jenson e Felipe che si sostengono a vicenda per non crollare, è in Fernando che quasi si nasconde dietro le spalle di Mark per non mostrarsi vulnerabile, è in me che in questo momento sto pronunciando queste parole.
Quindi no, Lewis non è morto.
È vivo probabilmente più di quanto lo siamo noi."
Chiudo gli occhi per un attimo dopo aver pronunciato quelle parole, e quando li riapro, osservo le facce di chi ho davanti, e le ritrovo sorridenti, come se finalmente si fossero resi conto che effettivamente Lewis è qui.

Resto qualche secondo a fissare i ragazzi, poi faccio un respiro e mentre sto per scendere dal leggio, la mia attenzione e quella di tutti i presenti viene catturata del rumore delle porte, chiuse fino a pochi secondi prima, che vengono spalancate.
Alzo di scatto la testa per vedere di chi si tratti, e appena incontro i suoi occhi, sorrido.
Sapevo che sarebbe venuto.



after he died | formula 1Where stories live. Discover now