XVII: Charles Leclerc

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Sono di nuovo qui, nella stessa situazione.
Come quattro anni fa, mi ritrovo al funerale di un amico, di una persona a cui volevo bene, che se n'è andata ingiustamente, troppo presto.
Ma il fatto che io ci sia già passato non aiuta, per niente.
Anzi, fa solo aumentare il dolore, perché oltre alla sofferenza per chi se n'è appena andato, c'è anche quella dovuta ai ricordi di chi ci ha lasciati già da tempo che ritornano a galla.
E questo ti fa stare male il doppio, perché ti tornano in mente vecchie scene che si stanno ora ripetendo davanti ai tuoi occhi, scene che non avresti mai voluto rivivere nemmeno con l'immaginazione ma che sei costretto ad affrontare più volte nel giro di pochi anni.

Per la precisione, nel mio caso, negli ultimi quattro anni ho dovuto sopportare tutto ciò per ben tre volte: prima per Jules, poi per mio padre ed infine adesso per Lewis.
Ma questa forse è la più dolorosa da accettare, perché è arrivata completamente all'improvviso, inaspettatamente.
Invece sia con Jules che con mio padre almeno ho avuto il tempo di prepararmi.

Solo ora mi rendo conto che Jules è effettivamente morto il giorno dell'incidente, che i nove mesi successivi non possono essere definiti vita, ma mentre vivevo quei momenti non me ne rendevo conto.
Finché c'è stato un briciolo di speranza, ho sempre continuato a pregare.
Certo, sapevo che sarebbe stato difficile che si potesse risvegliare, quasi impossibile, e che ci sarebbe voluto un miracolo, ma mi illudevo che tutta quella faccenda potesse finire bene.
Ovviamente avevo messo in conto che probabilmente sarebbe finita male, quindi ho avuto molto tempo per potermi preparare psicologicamente.
Soprattutto perché, negli ultimi due mesi del coma, la situazione era precipitata e ormai non c'erano più speranze.
Quando mi arrivò la notizia del suo decesso, ne fui profondamente addolorato, ma di certo non stupito.
La stessa cosa con mio padre.
La sua malattia è peggiorata gradualmente, quindi ho avuto il tempo di prepararmi, per quanto poi sia possibile prepararsi ad una cosa del genere.

Ma questa volta no.
La notizia della morte di Lewis mi è piombata addosso inaspettatamente, senza preavviso, e nessuno di noi ha avuto la possibilità di prepararsi.
Per questo stiamo soffrendo tutti così tanto.
Nonostante il bene che provavo per Jules, che per me era come un fratello, e per mio padre non sia minimamente paragonabile a quello che provavo per Lewis, il suo decesso è stato quello che mi ha sconvolto di più, anche essendo il meno doloroso.
Ha lasciato una cicatrice profonda tanto quanto le altre due.
E se con due sono riuscito a reggermi in piedi, tre sono veramente troppe, anche per me che purtroppo ci ho fatto l'abitudine.

A dir la verità, non avevo un gran rapporto con Lewis.
Eravamo amici, perché era impossibile non essere suo amico, ma non eravamo particolarmente legati.
Non ci sentivamo fuori dall'ambiente lavorativo e anche durante i weekend di gara tra di noi non c'era nulla di più di qualche conversazione nel paddock e qualche scenetta durante le conferenze stampa.
Nonostante ciò, provavo molto affetto e soprattutto stima nei suoi confronti, soprattutto dopo quello che è accaduto in Bahrein quest'anno.
Quello è stato probabilmente il momento in cui ho veramente capito che tipo di persona fosse Lewis.

Dopo aver dominato quella gara e averla persa a pochi giri dalla fine per problemi tecnici ero distrutto.
Nonostante la Safety Car mi avesse salvato permettendomi di arrivare almeno terzo, il mio umore era lo stesso sotto terra per la vittoria sfumata.
Appena sceso dalla macchina, sarei solo voluto fuggire, lontano da tutte le fotocamere, da tutti i giornalisti, da tutti i tifosi e chiudermi nella mia stanza d'albergo a disperarmi e piangermi addosso per smaltire la delusione.

E mentre, tolto il casco, pensavo a queste cose e fissavo, inconsolabile, la mia monoposto che mi aveva abbandonato sul più bello, Lewis, che aveva tratto un enorme vantaggio da quella situazione, mi si avvicinò cautamente, sfiorandomi la spalla con la mano per richiamare la mia attenzione.
Già pochi minuti prima era venuto ad abbracciarmi, e io, che in quel momento ero arrabbiatissimo, non sapevo che cos'altro potesse volere da me.

"So cosa stai provando.
È brutto perdere così.
Ma ragazzo, tu hai un grande talento.
Di bravi come te ne ho visti davvero pochi.
Non avere fretta, la vittoria arriverà, devi solo avere pazienza.
Ma oggi non hai assolutamente nulla da recriminarti.
Non è stata colpa tua." mi disse, guardandomi negli occhi.
Rimasi così scosso che riuscì solamente a sorridergli, sussurrando un flebile grazie.
Mi aveva colpito il fatto che al posto di festeggiare, fosse venuto da me e mi avesse detto quelle cose, che dette in un altro modo sarebbero anche potute risultare canzonatorie, ma che sembravano puramente sincere.
Non era tenuto a dirmi quelle cose, molti al posto suo non avrebbero fatto lo stesso.
Se mi avesse detto un semplice mi dispiace o se addirittura non mi avesse rivolto la parola, nessuno gli avrebbe detto nulla.
Ma nonostante questo, l'ha fatto, perché voleva farlo, perché voleva confortarmi, perché mi aveva visto praticamente a terra e voleva aiutarmi a tirarmi su.
E questo mi ha fatto capire molte cose, mi ha fatto apprezzare molto di più Lewis.

Faccio un sospiro profondo e scuoto la testa come per rimuovere quelle immagini dal mio cervello, che mi stanno solo provocando ulteriore tristezza e tante altre lacrime.

"Charles... odio vederti così." sussurra Pierre al mio fianco, osservandomi mentre asciugo e cerco di bloccare le lacrime che quei pensieri hanno scaturito.
Mi volto verso di lui, ancora con gli occhi lucidi, dopo qualche minuto, e gli sorrido.
Pierre è stato al mio fianco durante tutti i periodi più bui della mia vita, a partire dall'incidente di Jules in poi.
E anche oggi è qui, ad aiutarmi, ed un po' anche a farsi aiutare da me.
Sono felice che sia qui.
Il peso è un po' più sopportabile se a sorreggerlo sono due persone.
E lui è sempre lì, pronto a farsi carico di parte del mio dolore, per aiutarmi ad andare avanti.
Non smetterò mai di ringraziarlo per questo.

Sposto lo sguardo da lui e mi concentro sulla bara, posta sull'altare, e sulla fotografia di Lewis poggiata su di essa.
Guardandola, non posso fare a meno di ricominciare a piangere, questa volta senza neanche provare a trattenere le lacrime.
È tutto così ingiusto.

Accortosi della reazione, Pierre poggia la sua mano sulla mia e la stringe, cercando di darmi forza.
E un po' ci riesce, perché dopo quella stretta le mie lacrime si calmano e un lieve sorriso mi spunta sul volto.

"Ci sono qui io, Charles.
Non sei da solo." esclama, guardandomi negli occhi.
Restiamo qualche secondo così, poi ci sciogliamo in un abbraccio che lascia trasparire tante cose: oltre al dolore e alla voglia di supportarci a vicenda, in quell'abbraccio c'è anche tanta speranza.
Speranza che domani potremo stare meglio, se oggi affrontiamo insieme il dolore.

after he died | formula 1Where stories live. Discover now