Ricordo il momento in cui ci siamo risvegliati praticamente nudi, stesi a terra nella nostra camera, senza ricordarci minimamente come fossimo potuti finirci così.

"Però ogni giorno, dopo averla presa, lascio un segno sul calendario del mio cellulare", annuncio poi, afferrando di nuovo quell'aggeggio tra le mani.

Trovo alcuni messaggi di Paulo, che decido di ignorare, e apro il calendario di luglio.

Osservo il puntino rosso fisso giorno dopo giorno, orgogliosa del mio disturbo ossessivo-compulsivo di avere sempre ogni cosa in ordine.

I miei occhi si muovono veloci mentre le mie spalle si rilassano, finché non vengo rapita da uno spazio bianco, non segnato in rosso, sul giorno 28 luglio.

Due spazi, contandone un altro, due giorni dopo.

Sento quasi il rumore del cuore cadermi nello stomaco, con la consapevolezza che potrebbe succedere davvero, e che sarebbe del tutto colpa di una mia disattenzione, una mia dimenticanza.

"Ok, non è ancora detto niente. Quando deve venirti il ciclo?", continua Simona, indicando la seconda domanda con un altro dito.

Controllo ancora l'agenda elettronica e perdo un altro battito.

"Due giorni fa", sussurro, talmente a bassa voce che non sono del tutto convinta che possa avermi sentito.

"A volte può ritardare. A me lo fa spesso. Può essere lo stress. Mi accade spesso prima di un esame", comincio ad elencare qualunque cosa potrebbe spiegare questa situazione assurda.

Non posso.

Non può succedere.

Non deve succedere.

Non ora.

"Hai detto che hai bevuto del caffè stamattina, e lo hai quasi sputato. Ti ha dato fastidio l'odore. Dicono che una delle prime cose che danno fastidio ad una donna incinta sia l'odore del caffè", continua Simona ancora con quel tono professionale.

"L'ho quasi sputato perché quel cretino me l'ha fatto amarissimo. E no, non mi ha dato fastidio, ma poco dopo ho vomitato tutto, compreso lui", ammetto, ormai nel panico più totale.

Afferro la borsa, cercando al suo interno il portafogli e lasciando una banconota per pagare tutto, poi comincio a vestirmi, indossando la giacca di jeans chiara rubata dall' armadio di Paulo.

"Dove stai andando?", chiede Simona, seguendomi a ruota e prendendo la sua borsa.

Tira fuori il suo portafogli, mettendo la sua banconota sotto lo scontrino e ributtando la mia nella mia borsa.

"Muta. Quando sono con te e Paulo non posso pagare nemmeno se vado alla cassa di nascosto il giorno prima, almeno quando non c'è, lascia fare a me", dice autoritaria, senza permettermi di replicare e facendomi ridere sonoramente, dimenticando per qualche attimo la strage imminente che potrebbe avvenire di qui a poco.

"E poi devi comprare almeno un paio di test di gravidanza, che ti costeranno il doppio di questi aperitivi, quindi faccio io e basta".





"Mi prometti che, se dovessi cambiare idea e volessi farli, mi chiami e sarò da te immediatamente?", mi chiede Simona, una volta fuori dalla farmacia in cui mi aveva convinto ad entrare ed acquistare due test, che non so quando avrei fatto.

Perché sono una cagona.

Perché non so affrontare le situazioni difficili.

Perché questo è il pensiero di cui meno ho bisogno in queste settimane.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora