4.2 - Il Tumulo delle Cascate Tristi

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«È quello?»

«Quello. Ci siamo quasi.»

Darilec si arrampicò dietro Vulthir e Lotkir saltellò alle loro spalle, dimentico degli avvertimenti sul risparmiare le energie.

Quando arrivarono in cima, il bosco si stava appena risvegliando sotto di loro. Le cascate rombavano rumorosamente alla loro destra e gli uccelli cantavano al comparire del sole. Il ruggito lontano di una tigre dai denti a sciabola causò l'agitazione di uno stormo di passeri, ma era troppo lontana per essere un loro problema. Loro avrebbero dovuto preoccuparsi solo dei Draugr che infestavano il Tumulo e del freddo che li avrebbe abbracciati in profondità. E dei banditi, che a quanto pareva avevano occupato la prima sala per ripararsi dal gelo.

Vulthir fece cenno ai compagni di fermarsi. «Banditi» disse soltanto e allentò la cinghia dell'ascia mentre si sporgeva oltre le rocce. Un filo di fumo si alzava dal fuoco da campo, ma tra le nuvole nessuno l'avrebbe notato. C'erano vestiti appesi davanti alle fiamme e una tenda di pelli di lupo, ma probabilmente ce n'erano altre all'interno perché poteva da dov'era poteva scorgere almeno tre persone.

Darilec gli mise una mano sulla spalla per farlo indietreggiare e prese il suo posto. Chiuse gli occhi, concentrò la Magika e là dove si trovavano i banditi percepì pulsare delle intense fonti di vita. Ignorò per il momento il debole segnale che proveniva dal sottosuolo.

«Sono in dieci. Quattro fuori e sei dentro.»

Anche Lotkir si sporse oltre le rocce. «Dieci contro tre? Io potrei riuscire a intrufolarmi, ma voi non riuscirete mai a passare inosservati. Soprattutto tu, Vulthir.»

Vulthir ignorò il commento. «Se anche passassimo, ci precluderebbero la via di fuga.»

«Quindi? Dobbiamo tornare indietro e chiedere l'aiuto delle guardie?»

«Troppo tempo» rispose per lui Darilec. «Non sappiamo dove e quando il drago potrebbe attaccare ancora. Ci servono informazioni e ci servono il prima possibile.»

Scambiò uno sguardo con Vulthir e per una volta i due si capirono al volo. Vulthir porse l'arco a Lotkir. «Quanto è buona la tua mira?»

«Me la cavo, ma non vorrete davvero attaccarli in tre. È una follia!»

Vulthir ignorò anche questo e gli lasciò l'arco tra le mani. Sfilò la faretra dalla spalla e la posò ai suoi piedi. «Lezione numero uno: quando devi entrare in battaglia, prepara il tuo campo. Pianta in terra le frecce che ti servono in modo da poterle incoccare più velocemente, e tieniti sempre pronto sia ad avanzare che a nasconderti.»

«Ma rimangono comunque in dieci e noi solo tre. Non-...»

«Lezione numero due» lo interruppe Vulthir, le sopracciglia piegate in un rimprovero. «Una volta scelto di entrare in battaglia, non contraddire la decisione presa. Abbassa il morale dei compagni e ti deconcentra dal tuo obbiettivo. Non esiste nient'altro che la battaglia. Capito?»

Le proteste scivolarono dalle sue labbra e si spensero senza prendere forma. Poté vedergli le mani tremare mentre annuiva. Aveva capito a cosa stavano andando incontro.

«Terza e ultima lezione» disse, e accennò a Darilec, che stava richiamando la Magika. «I maghi cambiano sempre l'esito della battaglia. Vedrai tra poco. Mira ai bersagli più lontani e tieni sempre d'occhio le porte. Se si aprono, tira.»

«Sono pronto» annunciò infine Darilec, tornando tra loro. «Chiudete gli occhi.» Posò una mano sulla fronte di entrambi e improvvisamente poterono vedere anche loro le fiamme di vita brillare, a indicare dove si trovassero i nemici. Nemmeno muri e colonne potevano nasconderli dall'incantesimo. «Non durerà all'infinito. Dovremo essere veloci.»

«Lo saremo.» Cominciava già a sentire l'adrenalina scorrergli attraverso le vene. «Hai un piano?»

«Una bozza, ma non sono sicuro che possa funzionare.»

«Bene, allora seguite me. Io attiro la loro attenzione e mi occupo dei più vicini. Non interferite. Lascio a voi la porta e i rinforzi.»

«Sicuro di farcela?» non c'era scherzo nelle parole del mago. Non era più il momento.

Per una volta fu lui a sorridere. Il campo di battaglia era la sua casa. «Sono banditi, non guardie. Proteggetemi dalle frecce e al resto penserò io.»

Scambiò uno sguardo d'intesa con Darilec, che annuì, e posò una mano sulla spalla di Lotkir. «Se li mancherai li finirò io, non preoccuparti. Pensa solo a tenerli occupati.»

Abbassò l'ascia e avanzò all'aperto per il sentiero, trascinando i piedi in una finzione di stanchezza. Lo zaino serviva solo ad aumentare l'impressione di pesantezza.

Non ci volle molto perché lo notassero e due di loro gli vennero incontro con allarmata curiosità mentre un terzo imbracciava l'arco.

«Chi sei? Cosa fai qui?»

Vulthir alzò i palmi al cielo per tranquillizzarli. Reggevano delle rozze spade di ferro, ma vestivano parti sconnesse di armature di cuoio e pelliccia, e non avevano elmi né gambali. Sarebbe stato facile. «Non sono in cerca di guai, amici. Vengo da Markat e sono in viaggio da settimane. Stavo cercando di raggiungere Riverwood, ma sono stato costretto a deviare dalla strada e mi sono perso. Voi siete le prime persone che incontro da giorni.»

Non diede loro tempo di decidere se credergli o no: roteò l'ascia e in un attimo tagliò di netto il petto del più vicino. Lasciò cadere lo zaino, ruotò su se stesso e allungò l'ascia ben oltre la sua portata, cogliendo di sprovvista il secondo, che barcollò e cadde. Il terzo tirò, a vuoto, e una freccia si conficcò invece nel suo stinco, causandogli un grido di dolore. Pareva che Lotkir avesse una mira decente. Finì l'uomo a terra e si volse ad affrontare il quarto, sopraggiunto con uno scudo.

Fu allora che le porte si aprirono. La freccia di Lotkir colpì la pietra e i restanti sei uomini accorsero in soccorso ai compagni, ma non appena arrivarono in prossimità delle colonne, un fulmine si dipartì dalle mani di Darilec e carne e pietra furono squarciati dall'impatto come dietro a un colpo di maglio.

Ci furono grida, imprecazioni e sangue, sufficienti a dare a Vulthir il tempo necessario per liberarsi del terzo uomo, e quando si rialzò per fronteggiare i nuovi venuti, tre erano a terra, morti e mezzo carbonizzati, e al rombare di un nuovo tuono gli altri si sparpagliarono.

Corse a prendere quello a sinistra, lasciando lo scudo che aveva appena raccolto e vide un lupo azzurro correre a inseguire gli altri due. Un'evocazione. Non male.

Fu semplice liberarsi dei rimanenti. Recuperò lo scudo e tornò verso l'ingresso, dove lo aspettavano Darilec, Lotkir e il lupo, trasparente come un fantasma ma con le fauci rosse di vero sangue.

«Sei meglio di quanto immaginassi» si complimentò Darilec. «Forse non sarà così difficile recuperare questa stele.»

«Forse no» ammise Vulthir. Legò di nuovo l'ascia alla vita e raccolse una delle spade corte dai corpi. Contro i Draugr più deboli lo scudo sarebbe bastato a proteggerlo, ma non poteva ruotare l'ascia con una mano sola, né sarebbe stato efficiente all'interno degli stretti cunicoli di un tumulo. Invece, si rivolse a Lotkir, a cui l'euforia aveva gonfiato il sorriso fin sopra ai capelli: «Sei ancora dell'idea di seguirci?»

«Stai scherzando? Non tornerei indietro nemmeno se ci aspettasse un gigante in fondo al tumulo!»

«Se sapessi cosa ci aspetta in fondo al tumulo, correresti a caccia di giganti in un battito di ciglia. Ma ormai siamo dentro. Stai vicino e limitati a lanciare solo quando sei sicuro di non beccare me. E, qualunque cosa accada, non gridare. I Draugr sono sensibili al rumore, accorrerebbero tutti in una volta.»

Diede segno a Darilec e con un balzo il lupo passò davanti a loro e aprì la fila. Cominciava la parte difficile.

The Elder Scrolls V - Skyrim (italiano)Where stories live. Discover now