1.2 - Senza Catene

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Il tenente si chiuse la porta alle spalle col cuore che gli scoppiava in petto e spinse Vulthir a lato per timore che il drago potesse bruciarla.

Non accadde, ma il ruggito del drago scosse comunque l'intera torre e calcinacci piovvero dalle pareti. «Dobbiamo andarcene! Ora! Tutti quanti su per le scale!» Afferrò un uomo per il braccio e lo spinse a forza su per i gradini, ma il resto non si fece pregare. C'era paura nel loro sguardo, terrore addirittura, di un nero profondo come gli abissi di Downstar. Tra di essi, Vulthir scorse anche Orin, raggomitolato in un angolo con i capelli per metà bruciati e la testa stretta fra le mani. Orin mani d'orso, maestro d'ascia e uno dei Più Valorosi di Ulfric. Non pareva più che un bambino spaventato.

Lo prese per un braccio con disprezzo e lo trascinò assieme a sé su per le scale. Il tenente fu l'ultimo dietro di loro.

Un elfo apriva la strada con le orecchie tese, ma a metà salita si fermò, facendo loro cenno di fermarsi, e si acquattò contro il muro, in silenzio. Si guardò intorno con circospezione, quasi potesse immaginare dove si trovasse il drago, poi la parete esterna crollò e il mastodontico collo entrò dalla breccia, ruggendo fuoco e fiamme giù per la tromba di scale.

Un uomo morì sotto le macerie, tre presero fuoco come torce e finirono bruciati vivi. Il tenente schiacciò Vulthir contro al muro perché il drago non li vedesse, e quando fece per gettarglisi addosso lo trattenne, applicando una forza non indifferente sul suo petto.

Il drago azzannò un corpo fiammante e volò via in un rombo d'ali. Il tenente si affrettò ad affacciarsi dalla breccia fintanto che non poteva vederli. «Il ponte è crollato» gridò. «Ma abbiamo ancora una possibilità: vedete l'edificio sotto di noi? Non è così lontano. Saltate e continuate a correre finché non sarete fuori, ma non fatevi vedere! Dobbiamo raggiungere la fortezza!»

Vulthir si sporse con lui. Pareva una locanda e in effetti non era lontana, ma era diversi piedi sotto di loro e il tetto di paglia non li avrebbe retti tutti. Però aveva ragione: dovevano approfittarne fintanto che il drago era lontano.

Lasciò Orin a se stesso e si piantò invece davanti al tenente. «Come ti chiami?»

«Hadvar.»

«Spero tu sappia quello che fai, Hadvar.» Gli lanciò uno sguardo di sfida, prese la rincorsa come meglio poté tra i detriti e si lanciò per primo oltre la breccia.

Non fu un bell'atterraggio. Le mani legate davanti al petto impacciarono la caduta, ma riuscì a colpire la paglia con la spalla e fu veloce a entrare dal tetto spezzato. Qua e là cominciavano principii di incendi e dovevano sbrigarsi se non volevano restare bloccati. Non aspettò che gli altri lo raggiungessero e sfondò la porta a spallate per scendere al pian terreno.

Fuori, la situazione era ben peggiore. Un carro era in fiamme appena oltre l'ingresso e attraverso la porta distrutta poteva vedere il drago volare rasente le mura, eruttando fiamme sui pochi soldati rimasti.

Il tavolo era ancora apparecchiato per il pranzo. Prese una pagnotta di pane e ne staccò un grosso pezzo coi denti. Infilò il resto sotto la cintura e ribaltò il tavolo per toglierlo di mezzo. Le finestre da quel lato erano ancora intatte e non davano sulla strada.

Staccò un altro pezzo di pane mentre gli altri uomini lo raggiungevano e finalmente ebbe tempo di vedere i suoi nuovi compagni: Orin, a cui il salto pareva aver fatto tornare in parte il buon senso, alcune guardie Nord, una coppia di soldati venuti dalla capitale e l'elfo dei Thalmor. Il peggior miscuglio di razze a cui avesse mai partecipato.

Strappò un terzo pezzo di pane.

«Alla fortezza, dite? Come diamine ci arriviamo?» Indicò gli edifici crollati in mezzo alla strada e le fiamme che li avvolgevano.

The Elder Scrolls V - Skyrim (italiano)Where stories live. Discover now