16. Attimi eterni

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Non pensavo che l’alba sulla Tiburtina potesse essere uno spettacolo così bello.

Ma Alberto avvolto nelle prime luci del giorno, forse, lo è un po’ di più — anzi, senza “forse”.

Attorno a noi ci sono le scorie della notte di festa che ha preceduto quest’alba: mozziconi di sigaretta, bicchieri di plastica accartocciati sull’asfalto, tovaglioli usati per chissà quale scopo e chi più ne ha più ne metta.

Alla fine, in casetta ci siamo stati, anche se solo per un po’. Per la maggior parte del tempo siamo rimasti rannicchiati l’uno addosso all’altra sul divano. Abbiamo dormicchiato, ricordato qualche aneddoto buffo —quando gli ho rovesciato addosso un’intera bottiglia d’acqua, per dirne uno— e ci siamo sbaciucchiati. Niente di più, niente di meno. Eravamo stanchi, sbronzi e impauriti del domani. Quando la fioca luce dell’alba aveva iniziato a filtrare dentro la casetta, poi, gli avevo preso la mano e l’avevo portato fuori.

Ed eccoci qua, a guardare in faccia quel domani che tanto ci spaventa.

Siamo seduti sul marciapiede a goderci tutte le sfumature di rosa e arancio che il cielo ha da offrirci. Nessuno di noi osa proferire parola. In lontananza, riesco a scorgere qualcuno ancora intento ad uscire dallo studio, consumato dalla notte. A proposito, chissà che occhiaie avrò ora come ora.

«Credo di dover andare in albergo» rompo il silenzio, mentre tormento una pellicina sul mio pollice.

Alberto torce il collo e mi guarda con perplessità.

«Sono venuta con mia madre, vorrei farmi trovare almeno quando si sveglierà» gli spiego, prima di aprirmi in uno sbadiglio.

Lui ride leggermente, annuendo.

«Forse dovrei andare anch’io. Mi sono mancati i miei, sono sincero» sorride poi.

Fa tenerezza quando parla della sua famiglia. Si percepisce perfettamente il suo attaccamento.

«Allora… pronto al ritorno alla civiltà?» gli domando.

«Non credo. Per te non è stato traumatico?»

«Un po’, ma è durato poco. Dopo due giorni mi sono ripresa e mi ha fatto un bellissimo effetto sentire tutto l’affetto delle persone.»

«Spero sia lo stesso per me.»

«E come potrebbe non esserlo? Anzi, per te sarà ancora più bello. Non hai vinto Amici per caso. Dai, se ci sono persone che amano una come me, non oso immaginare quanti saranno ad amare te. Oltre ad essere un mostro di bravura, sei anche il ragazzo più puro che esista.»

«Lo pensi davvero?»

«Non lo direi se non lo pensassi.»

Mi sorride ancora una volta, ma stavolta chiude anche la sua mano sulla mia e le dà una stretta.

«Che vogliamo fare io e te, invece?» chiede, guardandomi dritto negli occhi.

Che vogliamo fare?

Non ne ho idea.

«Per quanto sia bello là fuori, sappi che saremo incasinatissimi. Devo girare mezza Italia nelle prossime settimane, presumo valga lo stesso per te» mi limito a dirgli, di fatto aggirando la sua domanda.

Il suo pollice cammina lungo il dorso della mia mano, senza seguire una traiettoria precisa. Tocca le nocche, si sofferma su quella dell’indice e poi si muove nervosamente avanti e indietro, fino a sfiorarmi l’osso del polso — sarà per il modo in cui ho appoggiato la mano al momento, ma è particolarmente sporgente.

Come la Pioggia sul VetroWhere stories live. Discover now