Prologo

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                                                                                                                                                                                                    Parigi, 2015

Wang Fu era seduto inginocchiato di fronte ad un piccolo tavolino, in una stanza del suo piccolo centro massaggi; era un uomo di statura modesta, aveva pochi capelli brizzolati e un piccolo pizzetto sul mento. I suoi occhi a mandorla castani rispecchiavano il suo animo afflitto dalle sofferenze patite nell'ultimo anno.
La stanza era inebriata da un intenso odore di incenso. Fu sospirava mentre osservava il mobile posto antistante a lui: un enorme grammofono, dall'aspetto molto antico, vi era posto sopra. La tromba, di colore argento, era poggiata su una base nera: la particolarità dello strumento era rappresentata da una piccola tastiera i cui pulsanti erano intagliati in ottone.
Fu sorseggiò con cautela dalla tazza contenente del tè caldo. Si alzò e si diresse verso il mobile illuminato da un piccolo raggio di sole proveniente dalla finestra. Premette in sequenza i tasti facendo scattare un meccanismo che aprì un piccolo cassetto in un angolo basso del grammofono. Estrasse una piccola scatola esagonale di colore viola decorata con simboli dorati; sulla superficie erano incisi dei simboli asiatici.
Fu indugiò osservando un punto vuoto della parete bianca di fronte a lui, tenendo stretta nella mano sinistra la scatola. Il suo stato di semi-trance fu interrotto dal campanello del suo centro massaggi; pensò che doveva trattarsi della signora Dupain-Cheng con la quale aveva un appuntamento quella mattina. Infilò la scatola nella tasca dei suoi pantaloncini marroni in stile bermuda e spalancò la finestra, consentendo all'aria primaverile di pervadere la stanza.
Fu aprì la porta del suo studio. Di fronte si ritrovò una donna dai lunghi capelli corvini raccolti in una treccia che le arrivava all'altezza del seno; gli occhi color grigio avevano una forma allungata, tipica delle popolazioni cinesi. La donna indossava un tradizionale abito femminile cinese, il qipao, di colore bianco con diverse fantasie floreali rosate: nonostante fosse un capo semplice, le conferiva una certa eleganza, risaltandone la minuta figura femminile.
«Buongiorno Sabine. È sempre un piacere per me accoglierla nel mio centro.» la salutò il Fu.
«Buongiorno Wang.» La signora Dupain-Cheng chinò il capo a mo' di saluto. «Se non le dispiace, oggi non sarò la sola ad usufruire dei suoi servigi.»
Fu spostò lo sguardo oltre la spalla di Sabine, incuriosito dalle sue parole: una ragazza a piccoli e timidi passi avanzò all'interno dello studio. Anch'ella aveva i capelli corvini raccolti in una piccola treccia laterale ed indossava un abito molto simile a quello di Sabine, ma più adatto ad una ragazzina adolescente. Ciò che colpì di più Fu furono due enormi occhi azzurri che lo fissavano con un'espressione intimorita ma, allo stesso tempo, carica di rispetto. Non erano necessarie chissà quali doti deduttive per capire che quella ragazza era la figlia di Sabine.
«Wang, sono lieta di presentarle mia figlia Marinette. Marinette, lui è Wang Fu; ti aiuterà a trovare un po' di relax in questi giorni per te stressanti. È un vero mago dei massaggi» disse Sabine.
«È un vero piacere conoscerti, Marinette!» esclamò Fu. «Tua madre mi parla spesso di te.»
Marinette abbozzò un timido sorriso rivolto a Fu e chinò il capo imitando il gesto della madre di poco prima. «Buongiorno Maestro Fu.»
«Maestro?» Fu accarezzò il suo buffo pizzetto. «Solo una donna, tanto tempo fa, usava questo appellativo per me.»
Si voltò in direzione di Marinette, che nel frattempo aveva sbarrato gli occhi convinta di aver appena fatto una delle sue solite gaffe; prima che potesse abbozzare qualche scusa, Fu la bloccò: «Scusatemi, mi ero un attimo perso nei miei ricordi; chiamami pure maestro Fu, Marinette.» Invitò le sue ospiti ad accomodarsi poggiando a terra due cuscini verdi ed offrì loro una tazza di tè.
Grazie all'aiuto della madre ed al modo molto pacato di porsi di Fu, Marinette riuscì a tranquillizzarsi e a rompere il ghiaccio prendendo confidenza con la sua nuova conoscenza. Man mano che la conosceva meglio l'interesse di Fu nei suoi confronti cresceva sempre di più. Non era difficile apprezzare una ragazza come Marinette: Sabine era orgogliosa del fatto che, in pochi minuti, la figlia riuscisse a conquistare le simpatie di chiunque con i suoi modi di fare e con il suo altruismo nonostante la goffaggine. Anche in questa occasione, aveva guadagnato le attenzioni di Fu, sebbene entrambe si domandassero il perché l'uomo guardasse con insistenza la sua tasca sinistra dopo aver scambiato parole con Marinette.
Al termine della seduta di massaggi, che Marinette trovò rigenerativa, Fu si rivolse alle due con un'espressione seria. Sabine lo conosceva da anni ed avrebbe giurato di non aver mai visto l'uomo assumere una tale espressione. Fu raccontò loro che a breve avrebbe dovuto trasferirsi a Londra per motivi personali e, dunque, la sua attività sarebbe stata chiusa. Con rammarico, Sabine gli augurò il meglio offrendosi anche di aiutarlo qualora ne avesse avuto bisogno.
«La ringrazio di cuore Sabine. Spero di rivederla al più presto» disse lui.
Fu salutò le due, strizzando l'occhio a Marinette nel momento in cui le strinse la mano. La ragazza non fece molto caso a quel gesto strano, troppo presa dal modo in cui Fu aveva pronunciato quelle parole: una dota innata di Marinette era l'empatia nei confronti delle persone e, dunque, capire quanto una determinata situazione portasse ambasce e sofferenza.

Una volta andate via, Fu aveva cambiato espressione rispetto a quella di qualche ora prima: i suoi piccoli occhi brillavano di una luce nuova, come se l'incontro di quella mattina lo avesse risvegliato da un lungo sonno. Senza dubbio questo effetto era dovuto alla conoscenza della giovane ragazza dai capelli corvini e occhi azzurri come l'oceano: occhi che, Fu ne era certo, nascondevano un animo puro, onesto, battagliero e sensibile, qualità che aveva visto solo in una persona tempo prima, la stessa che usava l'appellativo di "maestro" usato anche da Marinette in quella che Fu non riteneva una semplice coincidenza. Era, piuttosto, un segno, una conferma che la piccola Dupain-Cheng fosse la persona giusta per il compito che lui aveva svolto per quindici anni e che avrebbe dovuto abbandonare a causa delle sue condizioni di salute precarie, delle quali aveva taciuto poco prima.
Con l'entusiasmo di un bambino quando scarta i regali di Natale, si diresse verso la sua camera da letto: una stanza piccola, contenente un piccolo letto a singola piazza, sufficiente per l'uomo, un armadio a singola anta ed un comodino color ebano, sul quale spiccavano due foto, circondate da una cornice in argento che stonava con quell'ambiente umile. Fu ne raccolse una: ritraeva tre persone dall'aspetto giovanile mentre sorridevano ai piedi della Tour Eiffel; al centro, tra due ragazzi, vi era una donna, fisico slanciato, bionda, con due splendidi occhi color smeraldo. Le lacrime gli offuscarono la vista, mentre osservava la foto. Infilò la mano nella tasca ed estrasse la scatolina, sollevandola quasi volesse mostrarla alla donna in foto. «L'ho trovata! Sono certo che lei è quella giusta. Lei onorerà la tua memoria, mia cara.»
Uscì di fretta dal centro massaggi, convinto del suo pensiero: Marinette era la persona giusta!

Tornata a casa, Marinette corse subito nella sua camera. Tutto, in quella stanza, rispecchiava l'animo di Marinette: le pareti dipinte in rosa pallido, il divanetto dello stesso colore, il manichino sul quale era solita provare i capi d'abbigliamento che lei stessa disegnava e confezionava.
Quella mattinata era stata molto fruttuosa per lei: di solito, il sabato mattina, si incontrava con le sue amiche al Trocadero, ma, quel giorno, aveva convinto la madre a portarla con sé nel centro massaggi, poiché lo stress della scuola, i litigi con la sua eterna rivale Chloè e gli impegni nella pasticceria del padre le stavano portando via energie preziose e, dunque, era necessario un modo per rilassarsi. Per occupare il resto della giornata, Marinette decise di dedicarsi al suo hobby preferito: disegnare abiti ed accessori; in quel momento, tra l'altro, si sentiva ispirata. Preparò tutto il materiale che le serviva ma, poco prima di iniziare, fu interrotta dalla madre che bussò alla botola della sua stanza. «Marinette, un ragazzo ha consegnato in pasticceria una pacchettino per te.» Porse alla figlia un piccolo pacco avvolto in una simpatica carta regalo rossa con decorazioni nere.
«Per me?» chiese stupita Marinette. «Natale è passato da un pezzo.»
«Non è che hai un ammiratore segreto?».
Marinette arrossì. «Mamma!»
«Preparati che a breve è pronto il pranzo.» Sabine tagliò corto e lasciò la camera.
Una volta che la botola fu richiusa, Marinette scartò con avidità il pacchetto, curiosa di conoscerne il contenuto. Il suo entusiasmo si spense quando vide una scatola viola chiusa, senza alcuna serratura o bottone che ne favorisse l'apertura.
«È uno scherzo?» sbottò Marinette, dopo aver provato ad aprirla più volte ed in diversi modi, alcuni alquanto singolari come farla schiantare sul muro.
Dopo tanti tentativi falliti, perpetuati fino a sera, Marinette decise di arrendersi: la ragazza aveva provato anche a decifrare la scritta incisa sulla superficie della scatola ma, sebbene quei caratteri fossero molto simili a quelli dell'alfabeto cinese, non trovò corrispondenze né su Internet né sui libri vecchi appartenenti alla madre. Stanca e demoralizzata, lasciò la scatolina sulla scrivania ed andò a sciacquarsi il volto sul piccolo lavabo munito di specchio della sua camera. Quando guardò nello specchio la scatolina, capì perché non riusciva a decifrare quei simboli: erano caratteri cinesi scritti alla rovescia e, quindi, leggibili solo tramite uno specchio. Con rinnovato entusiasmo, Marinette prese dalla sua borsetta dei trucchi uno specchietto e trascrisse la frase nel verso giusto su un foglietto. Non conoscendo bene il cinese, fatta eccezione per qualche termine insegnatole dalla madre, si aiutò con Internet per tradurre quella scritta.
«Che il potere mi illumini la via, affinché possa servire la luce combattendo le tenebre. Dammi il potere.» lesse ad alta voce. «Che diavolo sign...» La scatola si aprì, sprigionando un'intensa luce rossa che costrinse Marinette a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, si ritrovò davanti un piccolo essere rosso con due lunghe antenne sul capo che svolazzava, osservandola con due occhi blu cobalto mentre le porgeva due orecchini argentati.

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