Parte 12 ( FINALE)

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 capitolo 30

La piccola grata aperta poco prima si mosse nuovamente, vi scese, la richiuse e si accasciò a terra. Gli spazi vuoti nella sua mente erano ormai stati tutti riempiti. L'ordine del Toson d'oro, il ruolo del padre e quello degli altri cavalieri, l'amicizia tra Marc e Johan. Tutto era al suo posto. Per un attimo rivolse lo sguardo ai corpi riversi a terra, solo in quel momento comprese che di loro non aveva capito assolutamente nulla. La luce del sole accarezzava le sue guance gonfie e ferite, dalla grata immaginava le nuvole che lentamente si muovevano nel cielo. Fece lavorare la fantasia, gli sembrava di riconoscere tra queste il viso del padre, gli mancava troppo, senza la sua guida non sapeva cosa fare. Quegli uomini erano morti tutti; Emmanuel ed Eddy avevano rifiutato la loro natura, portando però a termine il loro compito prima di suicidarsi, addestrandolo al meglio. Lucio, Roberto e Stefano erano stati uccisi da Johan ma Patrich sapeva che anche senza la sua mano avrebbero scelto la medesima strada, una volta uccisi tutti quegli uomini. Era davvero così difficile vivere con un simile fardello? E che dire di Johan, l'aveva ammazzato, riversando su di lui tutta la collera di cui era capace, attingendo ad abilità e forza che nemmeno sapeva di possedere. Già, quella forza e quelle qualità che egli stesso rifiutava, era per merito di Johan che era riuscito a stimolarle. Voleva farsi odiare, voleva essere ucciso, voleva che fosse l'ultimo rimasto a farlo.

«Johan, né tu né papà avreste avuto il coraggio di farla finita. Perché? Perché rinunciare alla vita per una bambina. Tutto questo per un manto dorato che nessuno ha mai visto, per una leggenda. E se vi sbagliate? Se non trovo nulla? Cosa rimarrà di tutto, cosa rimarrà della mia vita? Nulla.»

Si alzò a fatica, la solitudine era tale da farlo ragionare a voce alta, non era sicuro fosse solo questo, nella sua mente l'idea che tutto ciò potesse condurlo alla pazzia iniziava a prendere forma. Eppure sentiva il bisogno impellente di parlare, di essere ascoltato, ma soprattutto consigliato. Johan aveva detto che gli avrebbe lasciato strada libera ma che voleva dire? Probabilmente avrebbe sterminato l'esercito di Hans. No. Nemmeno in quattro avrebbero potuto. Forse ne aveva tolti di mezzo un gran numero, questo era possibile. Dunque cosa doveva aspettarsi una volta giunto al palazzo di Hans? Dieci, cinquanta, cento soldati quasi impossibili da ammazzare? Non vi era modo di saperlo, Hans lo aspettava ed era consapevole che sarebbe rimasto solo. Sedette nuovamente sul camino, osservava a turno i tre corpi a terra. «Ditemi, ditemi voi che cazzo devo fare! Io non... so se ho la forza di andare avanti. Dopo tutto questo, mi trovo a combattere contro un altro della mia famiglia, mio zio.» Riprese di nuovo a piangere, nella sua mente il ricordo di Hans era piuttosto vago. Ricco e famoso, non lo aveva mai degnato di attenzioni, ma ricordava: in qualche foto di Marc appariva un uomo in giacca e cravatta, sebbene la memoria ora non lo aiutasse, intuiva fosse lo zio. Adesso ne era certo, Hans controllava la sua vita, ogni mossa, sua e del padre. La decisione era ormai scontata: sarebbe andato lì e avrebbe lottato sino alla fine, magari non li avrebbe sterminati tutti, ma il solo obiettivo, quello che più gli importava era Hans, era la sua vendetta. L'istante successivo a tale pensiero rapì la sua attenzione: sentì come impellente la necessità di osservare quel camino, di ascoltarlo quasi volesse parlargli. Come se quei mattoni scuriti e macchiati da innumerevoli fuochi fossero capaci di fare altro. Stava impazzendo, non vi era altra spiegazione, era troppo, tutto così anomalo. Eppure, quei vecchi ed insignificanti mattoni lo stavano chiamando. Preso da un terrore che mai aveva provato, spinto da una necessità che sentiva come imposta e che per nulla gli apparteneva, scansò la cenere scoprendo la base del camino, lo liberò completamente. Per un attimo fu colto da un pensiero, egli in verità lo aveva rimosso al seguito degli eventi, ma ciò che da un po'si chiedeva era: come aveva fatto ad accendersi quel fuoco, la prima volta? Johan aveva detto che non erano più scesi lì dalla morte del padre, dunque come poteva conservarsi la legna a tal punto da ardere al primo contatto con la fiamma? Possibile che nessuno vi avesse fatto caso? Tastò i mattoni e ne spinse uno a caso, non sapeva perché ma la sua mano aveva deciso per lui, quindi la base si aprì scendendo verso il basso del camino e portando alla luce una straordinaria scoperta: un nuovo passaggio segreto. Spirava un'aria gelida, dovette ritrarre in fretta la mano, tanta era la differenza di temperatura, nonostante l'ambiente in cui era confinato da tempo non fosse certo dei più caldi. Prima di agire d'istinto si portò lentamente verso la sua cintura, la raccolse, prese con sé le due pistole e le due lame gemelle riponendole nelle loro custodie. Per un attimo si abbandonò ad una risata isterica, si chiedeva se gli altri cavalieri fossero mai stati a conoscenza di un tale passaggio, ma dal loro comportamento, di certo, non ne sapevano nulla. Il richiamo era forte, non era curiosità, persino il terrore che poco prima lo aveva colto era di colpo svanito. Inutile indugiare su qualsiasi congettura, aveva imparato a non farsi domande, dopo quello che stava passando qualsiasi altro accadimento doveva considerarsi normale. Entrò infilando prima le gambe, si accorse che subito i piedi potevano far perno su un gradino, lo riconobbe al contatto, era un mattone delle stesse fattezze di quelli con cui era costituita la discesa alla torre. Quando fu completamente dentro, l'aria gelida lo investì dal basso, continuò comunque a scendere, constatando con sorpresa che i gradini erano pochi e che la scalinata terminava a non più di dieci metri. Era circondato da una formazione rocciosa scavata che costituiva un circolo davvero enorme, era buio e si udivano a intervalli regolari piccole gocce d'acqua che scivolavano tortuosamente sui massi, ora vicine, ora lontane, giocavano a confondere la mente del giovane, sconcertato dal luogo in cui era piombato. Dinanzi a sé non riusciva a vedere, una sottile nebbia si apriva in alcuni punti su piccole zone dell'immensa caverna, tuttavia percepiva qualcosa, certamente degli ostacoli, forse pietre. In seguito come dal nulla si accesero delle esili fiamme azzurre intorno al grande spazio; erano disposte a mezz'altezza, simili alle fiaccole che i cavalieri avevano acceso, emanavano una luce tenue, minima, debole. Esse divamparono da bastoni, erano diverse dalle solite: piccole ed esili, il legno che le sosteneva era curvo, quasi modellato ad arte dalla natura. Le trovò bellissime, osservarle lo rendeva tranquillo, sembravano vive, quasi gioissero della sua compagnia. Si avvicinò ad una di esse e provò ad accostarvi la mano; non emetteva calore ma al contatto fisico rispondeva invigorendosi ancor più. Quelle fiamme erano coscienti. Il bastoncino sembrava non bruciare, conservandosi come se la fiamma non vi fosse. La luce prodotta era sufficiente a permettergli di esaminare l'ambiente, si trattava di un cimitero. Ora distingueva le lapidi, i massi posti perpendicolari al terreno, alcuni esattamente dritti, altri piuttosto inclinati, altri ancora spezzati in più punti. Il tempo doveva averli accompagnati per molti anni, date le condizioni in cui versavano. Certamente qualcuno aveva provato a modellarli, a dar loro una parvenza di pietre tombali.

GLENVIONWhere stories live. Discover now