Parte 7

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Capitolo 18

La notte era trascorsa in un attimo, assalito dalla stanchezza era crollato. Aprì lentamente gli occhi, era nella stessa posizione che aveva assunto appena disteso sul divano, praticamente non aveva mosso un muscolo. Impiegò alcuni secondi prima di riuscire a mettere a fuoco le immagini intorno, si sollevò a fatica, il corpo pesante come un macigno. La porta vicino alla cucina era ancora chiusa. Si guardò intorno in cerca di un orologio, ve ne era uno piccolo, sul tavolo: dieci e quaranta. Non ricordava di aver mai dormito così tanto, nemmeno la domenica dopo una dura settimana di lavoro. Subito il suo pensiero fu rivolto alla sua nuova conoscenza, Emmanuel. Probabilmente, durante la loro convivenza, a Tim sarebbe toccato il divano mentre lui avrebbe di certo occupato la camera da letto. Si alzò e vi si diresse; immaginava che Emmanuel stesse ancora dormendo, la perdita dell'amico sembrava averlo profondamente provato, la sera prima quando si era ritirato era visibilmente a pezzi. Bussò con delicatezza, nessuna risposta. Aprì la porta, la stanza era vuota. Con sua grande sorpresa notò due letti, la camera era piuttosto grande, nell'angolo un tavolo con due computer e una lavagna con un grafico. La porta del bagno si aprì, Emmanuel uscì con la testa ancora bagnata e un accappatoio grigio.

«Sei proprio un ficcanaso! Allora, dormito comodo?» chiese quasi infastidito.

«Sì, direi di sì. Scusa, pensavo stessi dormendo, non volevo curiosare.»

«Non importa, in fondo non ho nulla da nascondere. Anzi, se hai qualche domanda.»

Patrich ripassò con lo sguardo l'intera camera, era un attento osservatore, anche se non lo dava a vedere. I suoi occhi si posarono sul grosso grafico ed Emmanuel lo anticipò.

«Quello è in sostanza il lavoro che io e Tim facevamo, trading di borsa.»

Patrich lo osservò perplesso, il suo sguardo tradiva che non aveva ben chiaro di cosa si trattasse, sorvolò concentrandosi su un'altra informazione.

«Non ci capisco nulla di borsa, ma perché hai parlato al passato, da quanto non fate più questo lavoro?»

Emmanuel tolse l'accappatoio e indossò velocemente l'intimo incurante dell'altra presenza, quindi una tuta poggiata sulla sedia.

«Da quando Tim è morto, chiaramente. Abbiamo fondato insieme la nostra società e ci siamo ripromessi di portarla avanti sino a quando gli eventi lo avessero permesso, e soprattutto, di farlo insieme. Ora lui non c'è più e io non ho motivo di proseguire. Diciamo che ho guadagnato abbastanza e poi. . . adesso che ci sei tu il mio compito sarà un altro.»

Emmanuel lanciò un'occhiata interlocutoria al ragazzo, sicuro che gli avrebbe rivolto altre domande. Questi non lo deluse.

«Non capisco perché se sei così ricco come dici, se anche Tim lo era, per quale ragione fate...questo, perché rischiate la vostra vita?»

Il volto di Emmanuel si fece scuro e severo.

«Se tu sapessi di avere un dono del genere, se sapessi che da te possono dipendere decine, centinaia di vite umane e fossi ricco, molto ricco, tu faresti lo stesso?» L'interrogò fissandolo negli occhi. Patrich fu assalito dal dubbio. In realtà gli stava chiedendo se era un egoista e se ne fregava degli altri. Non sapeva mentire e la sua risposta fu secca e decisa, seppur conscio che l'altro non l'avrebbe gradita. «Io. . . credo. . . che mi farei gli affari miei, ecco. Hanno ucciso mio padre e credo che anche tu sappia qualcosa ma non vuoi ancora dirmelo. A me interessa solo quello, trovare chi lo ha ucciso e farlo fuori.»

Emmanuel scosse la testa come tramortito da un colpo e concluse seccamente: «Come immaginavo, con te è solo tempo perso, non hai ancora capito un cazzo!» Indossò un paio di sneakers e uscì sbattendo la porta. Patrich rimase immobile, lo aveva ferito, più di quanto non lo fosse già, eppure aveva detto semplicemente la verità, la sua. Ora non restava che attendere le sedici, inconsciamente sapeva che Emmanuel non sarebbe tornato a casa, ma immaginava dove lo avrebbe trovato poco dopo. Aprì il frigo, aveva una fame tremenda, divorò tutto quello che gli andava, poi tornò nuovamente in quella camera. Qualcosa gli era sfuggito o forse non l'aveva notata, la presenza di Emmanuel lo metteva in soggezione. La stanza, eccezion fatta per i computer e il grafico era piuttosto spartana; nessun elemento decorativo, una sedia che fungeva da appendiabiti, due letti e un solo comodino tra di essi, su di questo Patrich notò un piccolo portafoto, un dieci per dieci. Lo prese, tre ragazzi di età vicina alla sua, a giudicare dall'atteggiamento dovevano essere amici, osservò ogni dettaglio, dopo un attimo di incertezza non ebbe più dubbi: Emmanuel, Tim e tra i due un altro giovane, Marc, fu colto di nuovo dalla nostalgia. Istintivamente estrasse la foto dalla cornice e la girò, riconobbe la calligrafia del padre.

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