Parte 3

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capitolo sette

Ora l'appartamento sembrava in ordine, il bagno e il divano erano presentabili, sarebbe uscita a fare spesa. Di nuovo il cellulare.

«Si, sono la dottoressa Tevoli.»

«Cavolo Sara! Ma vuoi registrarti il numero? Sono Patrich, sto arrivando. Dove sei?» «Di già! Sono in casa, vieni quando vuoi.»

«Bene, apri il portone d'ingresso, sono di sotto!»

Sara sbuffò. Dopo tanto non si era ancora abituata agli scherzi stupidi di Patrich, ma questa volta non lo avrebbe richiamato, il tono della sua voce era ancora triste, più di prima, anche lei sentiva che qualcosa non andava. Aprì il portone e attese sul pianerottolo. Nonostante si fosse laureata da poche settimane Patrich era già stato lì a dormire, quasi due mesi prima. I genitori si erano portati un po' in avanti con il regalo. L'ascensore si aprì, Patrich uscì con l'enorme carico, baciò l'amica sulla guancia e trascinò la valigia in cucina. Sara chiuse subito la porta.

«Allora posso sapere che hai fatto questa volta?»

Sospirò, non sapeva da dove iniziare. Le aveva già raccontato della morte di suo padre, del suicidio. La ragazza conosceva la sofferenza dell'amico e per questo non gli aveva mai chiesto i particolari.

«Guarda, Sara, prima cosa grazie dell'ospitalità. Sono sempre in debito con te. Poi, ecco. . . me ne sono andato di casa, ma stavolta per una giusta causa. Devo partire per il Belgio, ho una cosa da sbrigare.»

La ragazza attese alcuni secondi, notò la riluttanza dell'amico a parlare, quindi sbottò «E quindi? Questo è quanto? Nulla da dire? Vieni qui, poi vai lì... cosa sono un albergo io?»

Era inutile, quando si arrabbiava era un fiume in piena, se voleva conoscere qualcosa riusciva ad essere parecchio persuasiva.

«Ok, ok, tanto non la smetti di rompere se non ti dico tutto! Vado in Belgio per scoprire cosa è successo a mio padre. Ormai ho quasi la certezza che sia stato ammazzato, scoprirò chi è stato.»

Sara lo osservava incredula, era sinceramente intenzionato a partire. Prima che lei potesse dire qualcosa Patrich la fece accomodare sul divano, si sedette anche lui. Fece un piccolo sospiro e iniziò a raccontare. Dalla lite con la madre, alla malattia, alla foto, non tralasciò neppure il dettaglio della pistola.

«Io...non so che dire. . . Perché non mi hai mai parlato della malattia? Eppure a me non sembri malato, anzi!»

«Infatti, proprio perché mi sento bene non ho mai pensato di doverne parlare con altri, eppure il tumore c'era. Cinque anni fa c'era sicuramente.»

Sara si alzò dal divano e prese a passeggiare lentamente dentro l'appartamento. Patrich non riusciva a vederne il volto eppure percepiva una lieve agitazione, come se la sua confidenza di poco prima l'avesse scossa. Quel sentimento scomparve subito, la ragazza incrociò le mani dietro la schiena, Patrich conosceva il significato di quelle azioni e sapeva che l'amica stava preparando uno dei suoi proverbiali discorsi.

«E quindi mi stai dicendo che tuo padre ha poi trovato una cura per te, ma quello che ricordi è solo che ti prelevava parecchio sangue?»

«Esatto, per tre mesi non faceva altro che togliermi sangue, ricordo solo che a suo dire era necessario, che per avere una piccola dose della cura ne occorrevano grossi quantitativi. Tant'è che i prelievi mi facevano male, mi sentivo stanco e debole. Ma in maniera sbagliata avevo attribuito la debolezza al tumore quando invece era dovuta alla perdita di sangue.»

«Quindi tua madre ha pensato che stessi peggiorando, ha accusato tuo padre e si sono lasciati alla fine.»

«Si, pur restando sotto lo stesso tetto, ormai mamma aveva deciso di tornare in Italia e cambiare aria comunque. Come vedi era destino che in un modo o nell'altro io tornassi qui.»

GLENVIONTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang