Parte 6

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Capitolo 16

«Johan mi ha mandato un messaggio. . . dice. . . dice di tenerlo d'occhio perché è arrivato.» disse Tim disteso a terra con la testa rivolta verso l'amico che tentava a stento di sollevarsi.

«Ok, ma dovrai andare tu, io non mi reggo in piedi.»

«Credo di non avere scelta, sei tu quello messo peggio.» Tim si rivolse all'amico in tono canzonatorio «Riposati, sicuramente prima di domani non si farà nulla. Ci vorrà qualche ora prima di riunirci tutti, almeno credo.»

Emmanuel non rispose, aveva smesso di tentare di sollevarsi, si era girato sulla schiena e giaceva a terra supino, sfinito, il respiro affannato; stava recuperando le forze. Malgrado fosse in ottima forma fisica quelle azioni comportavano un enorme dispendio di energia e lo stremavano profondamente, il suo corpo era percorso da brividi di freddo, di tanto in tanto percepiva però del calore che si irradiava dal petto. Tim si era alzato con grande fatica, dapprima si era portato sul divano, dopo qualche secondo aveva raggiunto il bagno. Rimosse il sangue sulla bocca, si sciacquò il viso e passò in cucina. Estrasse una pillola dalla tasca e la ingoiò accompagnandola con una bibita presa dal frigo. Quindi fece un cenno con la testa all'amico e si chiuse la porta alle spalle. Scese le scale faticosamente, aveva un forte giramento di testa e gli fischiavano le orecchie, si tenne saldamente al corrimano fino all'ultimo scalino. Era uscito sorridendo, non voleva preoccupare Emmanuel più del dovuto. Non aveva lontanamente immaginato di ridursi in quelle condizioni. Sostò davanti al portone osservando la cattedrale di fronte, se il ragazzo fosse passato di lì lo avrebbe sicuramente notato. Sapeva tuttavia che lo stavano cercando e che conoscevano casa Martens. Nonostante le gambe lo reggessero a stento, decise di andare di persona, l'incolumità del giovane era prioritaria, Johan era stato chiaro. Stava camminando da alcuni minuti quando un ragazzo, evidentemente sotto shock, gli apparve dinanzi. Si voltava continuamente, sembrava stremato e disorientato. Tim lo riconobbe subito, in fondo era uguale a Marc e il suo comportamento non lasciava dubbi: era inseguito e forse aveva già conosciuto il nemico. Per quanto volesse chiamarlo ad alta voce, non ne aveva le forze, quando anche il ragazzo si accorse di lui gli fece cenno con la mano di raggiungerlo, quindi si sedette a terra, nella speranza di essere stato compreso. Patrich gli corse incontro e in breve lo raggiunse, ma la mano era ben salda sulla calibro nove dietro la schiena. Quando poté guardarlo in viso, comprese che non vi era pericolo, era debole e forse cercava semplicemente aiuto. Tim lo salutò e con un cenno della mano lo invitò a sedersi accanto a lui. A sua volta troppo stanco, senza comprendere il motivo di quella richiesta, Patrich lo assecondò. Si appoggiò pesantemente a terra, non disse una parola, osservò semplicemente l'altro che respirava a fatica.

«Piacere. . . di conoscerti ragazzo... finalmente sei arrivato» articolò con enorme fatica.

«Tu chi sei, perché mi conosci?»

Patrich era travolto dalla confusione.

«Chi sono non ha importanza. . . ora. Io conoscevo tuo padre, era, era. . . davvero un amico. Adesso devi solo ascoltarmi. Se sei qui e non a casa tua, significa che ti hanno trovato, vero?»

Patrich fece un cenno di consenso con la testa, quindi premette fermamente i palmi delle mani sulle palpebre tentando di reprimere un'emozione che di lì a poco l'avrebbe travolto, infine si appoggiò sulla spalla dell'altro, iniziando a piangere copiosamente.

«Ti prego, ti prego, se sai che cazzo sta succedendo dimmelo. Per favore, non ne posso più. Voglio solo sapere perché mio padre è morto, perché quei mostri mi seguono, cosa. . . sono? Dimmelo!» singhiozzava.

Tim lo ascoltava con gli occhi chiusi, ne condivideva profondamente la rabbia e la frustrazione, tutta quella responsabilità sulle spalle di un ragazzo era un macigno insostenibile.

GLENVIONWhere stories live. Discover now