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Dieci

"Passavo di qua." dice impacciato toccandosi il dietro del collo.
"Noi andiamo a lavoro, ciao tesoro, ci vediamo stasera." mio padre pronuncia queste parole velocemente guardando velocemente mia madre ammiccando per poi prenderla sotto braccio e portarla fuori dalla sala da pranzo.
Non so cosa diavolo stia facendo, ma la cosa non mi piace e spero di avere presto modo di dirglielo.
"Non passavi di qua, siamo vicini di casa. Cosa vuoi?"
Sputo acida con tono ovvio.
"Beh, forse non passavo per caso, Ma..." inizia indicandomi con l'indice come per trovare le parole giuste "Ma voglio veramente sapere di Briony."sorride.
"Io devo andare adesso."
"Ti prego, solo dieci minuti. Concedimeli."
Se solo sapesse che anche solo dieci minuti con una persona che non conosco possono mettermi a disagio forse non insisterebbe più.
"Hero, ho un appuntamento." dico guardando in tutte le direzioni tranne che il diretto interessato.
"Ah."
Si volta per dirigersi verso l'ingresso.
"Hero?"
'Si?' si volta.
"Se ti parlassi di Briony a pranzo?"
Sorride e vedo i suoi occhi illuminarsi. Quanto sono belli, non ci avevo fatto caso.
"Davvero? Cioè si ok, potrei. Figo, va bene ci vediamo a pranzo." dice uscendo dalla sala da pranzo indietreggiando e inciampando sul tappeto riuscendo a malapena a non cadere.
Ridacchio e lui esce da casa mia per entrare nella sua.
Controllo l'orologio e noto che entro un'ora sarebbe iniziata la seduta con Moore ed esco velocemente di casa.
-
Entro nello studio con il fiatone.
per la corsa fatta poco prima per non arrivare in ritardo.

'Mi s-scusi ho fatto prima che ho potuto'

'Tranquilla Josephine, accomodati'

Prendo posto sul lettino dei pazienti e mentre il dottore inizia a parlare la mia mente vaga.

Penso alla mia vecchia casa, ai miei vecchi amici, penso alla malattia mentale che mi ha ridotto a chiudermi in una gabbia, ai miei genitori, a mio padre che ha sempre voluto il meglio per me e una figlia come me non se la meritava proprio.

Una pazza ventiduenne che non aveva combinato niente di buono in vita sua, la pazza che aveva problemi persino a fare le cose più semplici senza l'aiuto degli altri.

Chissà quanto è bella la vita per quelli che riescono a fare la spesa, ad andare nei locali e sentire la musica che ti pompa nel sangue dalla punta dei piedi a quella dei capelli.

Chissà come ci si sente a fidarsi di qualcuno, a non credere e pensare che abbiano tutti un secondo fine.

Mi piacerebbe essere normale solo per un po', solo per un momento.

Anche solo il tempo per mettere da parte il timore di fidarmi di Hero e abbandonarmi completamente a lui e le sue iniziative.

Ma poi mi ricordo che anche lui viene dal Dottor James Moore e inizio a chiedermi se è il caso di intraprendere un qualsiasi rapporto con qualcuno.. come me.

Ho bisogno di stare da sol-

'Josephine? A cosa stai pensando?'

La voce calda del dottore mi riporta alla realtà distraendomi dal mio flusso di coscienza che correva libero fino a pochi secondi fa.

"A niente" scuoto la testa mentre lui risponde con un finto sorriso ma noto nella sua espressione che non se l'è bevuta dunque decido di continuare.

'Riusciró a mai ad essere una persona normale?'

'In che senso?'

'Nel vero senso della parola, autonoma e normale. Fare delle commissioni da sola, pagarmi da mangiare al bar o chiedere indicazioni stradali senza svenire per strada.' rispondo con sguardo severo.

'Io ho assoluta fiducia in te.'

'Lei non mi conosce dottore, non può avere fiducia in me'

'Molte persone hanno avuto la tua patologia, non è niente di incurabile, ma alla base della guarigione c'è la fiducia. E la fiducia non è una nozione che posso darti io'

'Dunque, come pensavo, lei non puó aiutarmi' mi alzo velocemente prendendo la mia borsa al voloe mettendo dietro l'orecchio una ciocca di capelli, un'abitudine presa da mia madre.

"Non sono tutti come l'amico di tua cugina Josephine." si alza il dottore pronunciando queste parole con tono autoritario per impedirmi di andarmene.

"C-come ha detto?" Chiedo stranita mentre le gambe iniziano a tremare.

"Quello che hai sentito. Ho visto quello che ti ha fatto ed è inaccettabile, ma non sono tutti così. Sta a te capire chi lo è e chi non lo è, ed è una cosa che senti a pelle."

A questo punto mi siedo sul lettino con la testa tra le mani e alcune lacrime iniziano a rigarmi il viso. Non so esprimere a parole quello che provo in questo momento, ma sicuramente sento tanta sofferenza e provo vergogna. Non riusciró più a guardare il dottore negli occhi ora che so che lui sa.

"Shhhh, tranquilla. Fai un bel respiro, andrà tutto bene." mi dice il dottore sedendosi sulla sedia di fronte al lettino poi senza che io risponda continua.

'Ci vedremo ogni settimana e ogni settimana noterai da sola di aver acquisito un po' più di fiducia in te stessa e negli altri. Ce la farai'

'Ne è sicuro?' Dico senza guardarlo

'Sicurissimo. La tua misantropia non è innata, è derivata da quell'evento. Ce la faremo, vedrai'

Esco da quello studio completamente distrutta.

Non credevo che la mia misantropia potesse essere curata perchè avevo fatto delle ricerche almeno sull'etimologia della parola e i risultati non davano nulla di promettente.

L'ansia e la bassa stima non solo verso me stessa ma anche verso gli altri non faceva che aumentare.

Sono sempre piú chiusa, mi rendo conto di allontanare le persone perchè temo che la soddisfazione dell'essere amata possa lasciare posto rapidamente ad un enorme vuoto e questo mi spaventa.

Ma il dottore mi ha detto che devo capire da sola chi merita la mia fiducia e chi non la merita ed è quello che avrei fatto.

Anche solo la parola fiducia mi mette un'ansia pazzesca.

L'ho studiata teoricamente molte volte ed infatti esistono vari tipi di fiducia: quella istituzionale, quella personale o interpersonale e quella in se stessi.

Io non ho nessuna delle tre.

Non mi fido della societá, ne' delle persone ne' tantomeno di me stessa.

La domanda nella mia testa è solo una: posso fidarmi di Hero?

let me love you | herophine Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora