CINQUE

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Sono riuscita a non parlare con nessuno nel mio viaggio fino a Brooklyn, anche se la testa continuava a farmi male a causa della botta presa circa mezzora fa.
Arrivo di fronte ad un maestoso complesso di uffici, alzo gli occhi al cielo e non ci metto molto a capire che quel grattacielo avrà avuto più di una cinquantina di piani.
Mi avvicino e vedo una targhetta con su scritto
James Moore  Psicologo- terapeuta
esperto in traumi psicologici.
Entro lentamente e mi dirigo verso l'ascensore, entro e premo uno dei circa cinquanta pulsanti con numero, il numero 39.
Lentamente l'ascensore mi porta al 39esimo piano, esco e mi guardo intorno spaesata.
Noto di fronte a me un'enorme sala d'aspetto con grandi vetrate trasparenti che affacciano sul quartiere di Brooklyn con circa una dozzina di persone con in mano alcune cartelle.
La porta si apre e ne esce un uomo di circa trentacinque anni, anno più anno meno; con grandi occhi azzurri, simili ai miei, capelli castani, un sorriso rassicuratore sulle labbra e un po' di barba rossiccia curata sul viso.
La luce della finestra mi permette di vedere delle lentiggini su tutto il suo viso e anche sulle braccia, lasciate scoperte dalla camicia arrotolata. Ha una cravatta scura che si abbina perfettamente al colore dei pantaloni e le scarpe classiche che indossa.
"Signorina Langford?" sento la sua voce chiamarmi. Ha uno strano accento, probabilmente britannico ma non come quello di Hero, è diverso. Perché sto pensando ad Hero adesso?
"Sono io." Alzo una mano e mi incammino nella sua direzione e lui con un sorriso mi lascia entrare.
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Una volta entrata all'interno del grande studio alcune cose mi saltano subito all'occhio.
Si presenta come un vasto spazio luminoso, al centro vi è un lettino nero in pelle e accanto una poltroncina dello stesso colore e materiale.
A destra di fronte alla grande finestra vi è una scrivania in legno scuro ricoperta da mille scartoffie disordinate e poste davanti ad essa vi sono due sedie.
E' il tipico studio psichiatrico che fa sentire i pazienti degli stupidi pazzi piuttosto che delle persone in quanto esseri pensanti.
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Mi fa accomodare sull'enorme lettino nero e inizia a parlare con la sua voce roca dal tono tranquillo.
"Allora, vorrei che tu mi parlassi un po' di te."  sorride l'uomo sedendosi sulla poltrona accanto al lettino.
"Io non so cosa dirle, sono qui perché i miei genitori vogliono che parli con uno strizza- con un dottore" dico con un tono strafottente passandomi una mano tra i capelli biondi.
"Beh, allora dimmi perché i tuoi genitori pensano che tu debba parlare con me." ridacchia l'uomo.
E' bravo con le parole, qualunque sia il suo prezzo deve essere uno di quelli esperti in materia.
  Ovviamente lo è. E' un medico ed è abituato a parlare con persone con dei problemi, proprio come me.
Decido di abbandonarmi sul lettino e di cedere.
"Soffro di agorafobia e ansia sociale da quando ho sedici anni. Ho iniziato a ridurre i contatti con le persone perché-"
"Come mai dici di soffrire di Agorafobia?" chiede con uno sguardo concentrato
"Se mi fa finire magari." rispondo con tono arrogante approfittandomi della situazione.
Annuisce facendomi cenno di continuare.
"Parlare con gli altri mi fa soffrire, non solo parlare in effetti, anche quando gli altri parlano a me. Ho perso la fiducia nella gente tanto tempo fa" dico velocemente guardandomi intorn.
"Non ti costringerò a parlare se non vuoi, ma sappi che fin quando non saprò cosa ti è successo, qual è stato il fattore scatenante che ti ha portato a pensare in questo modo, io non potrò fare molto." inizia
"Cosa propone di fare dunque?" chiedo con tono atono.
"Ipnoterapia."dice velocemente con tono sicuro di se.
"Cosa?" chiedo stupida
"l'ipnoterapia è l'unica che può permetterci di raggiungere quella parte remota della tua memoria, quella che ha rovinato per sempre i tuoi rapporti con le persone." risponde con tono autoritario.
Mi sta ripagando con la stessa moneta,  è molto furbo.
Ha capito che non vorrei essere qui dunque cerca in tutti i modi di trovare un modo alternativo per farmi parlare.
"Proviamoci" rispondo di colpo lasciando uno sguardo stupito nel Dottor Moore.
"Va bene. Sdraiati sul lettino e chiudi gli occhi." sorride.

let me love you | herophine Where stories live. Discover now