Abbiate cura di lui.

Si sedette sul letto, le mani serravano forte la coperta rilasciando la tensione. Un altro tassello si era aggiunto all'immenso puzzle che faticosamente stava ricomponendo.

«Mi hai lasciato solo di proposito, vero Emmanuel?»

Poggiò la foto, si sdraiò sul letto, sebbene circondato da persone che non conosceva, si sentiva al sicuro, ma non di meno pieno di dubbi e domande, di li a poche ore avrebbe trovato le risposte che cercava. Ciò che non poteva assolutamente immaginare era quanto tali risposte sarebbero costate.

capitolo 19

Alle quindici e cinquantacinque in punto il grosso portone d'ingresso si spalancò. Johan era appoggiato ad uno stipite lo sguardo rivolto verso il viale. Malgrado la luce lo colpisse direttamente e riuscisse a distinguere a fatica la sagoma, riconobbe Patrich, l'incedere deciso e affrettato di chi ha solo un obiettivo, conoscere la verità. «Ben tornato, Patrich, ti sei riposato?» chiese uscendogli incontro.

Questi gli passò accanto diretto all'ingresso.

«Tra le altre cose direi. . . di si. Mi sono riposato.»

Johan comprese la sua impazienza e lo affiancò nel breve tragitto alla grossa porta. Quindi senza parlare, ripeté le stesse operazioni della volta precedente: aprì la prima porta, poi quella di vetro. I due si trovarono nuovamente nel grande atrio, di fronte a loro i ritratti che Patrich ricordava.

«Bene ragazzo, osserva attentamente, dimmi cosa vedi.»

«Cavolo, Johan, sempre la stessa domanda, non so chi sia! Ti ho già detto che a parte quella spilla non saprei.»

«Noto con dispiacere che le tue conoscenze sono piuttosto lacunose, il grande Carlo Quinto, imperatore del Sacro Romano Impero, questi è il soggetto del ritratto» spiegò con tono solenne.

Patrich non sembrava sorpreso dall'affermazione, in fondo la storia non lo appassionava.

«Quello invece è Filippo Secondo, a seguire l'ammiraglio Andrea Doria, quindi Cosimo de Medici, Galeazzo Caracciolo. Lì è invece rappresentata l'intera famiglia Colonna» concluse con un velo di commozione.

«E dovrebbe fregarmi qualcosa? So solo che hanno tutti quell'effige, ma con mio padre cosa c'entra?» era spazientito.

Un montante lo colpì violentemente allo stomaco, cadde sulle ginocchia, la forza di Johan era sorprendente.

«Stupido, questi sono eroi. Tu invece sei solo una testa di cazzo, ma il destino ha voluto così e forse un giorno anche tu sarai accanto a loro su quella parete» disse irritato.

Quindi si diresse verso un altro ritratto coperto con un lenzuolo, Patrich lo seguiva con lo sguardo, la fitta allo stomaco gli aveva tolto il fiato, impedendogli di rispondere. Tolse lentamente il velo, il ragazzo strabuzzò gli occhi, la voce di colpo tornò.

«Pa. . . papà» urlò il giovane che a fatica si risollevava da terra.

«I quadri appesi ritraggono solo alcuni dei più importanti custodi del più antico ordine: i cavalieri del Toson d'oro.»

«Cavalieri di cosa? Cosa significa? Mi prendi in giro? Che ci fa mio padre lì in quel ritratto?» chiese puntando l'indice.

«Ragazzo è ora che ti svegli! Io, tuo padre, come me, Emmanuel, il caro Tim, facciamo parte di quest'ordine che Carlo Quinto ha voluto fondare nel millecinquecento. La spilla che vedi indosso ad ogni membro è un simbolo dell'ordine e del compito che abbiamo. Dovresti essere fiero, onorato, come noi lo siamo.» Scostando il colletto della giacca mostrò all'interno una spilla di dimensioni ridotte ma recante lo stesso simbolo. Patrich abbassò la testa, rimase in silenzio alcuni secondi, una cosa aveva capito, la immaginava ma aveva bisogno di sentirla dire. «Johan, i cavalieri del Toson d'oro esistono da così tanto tempo. Emmanuel mi ha spiegato che. . . lui. . . insomma non è proprio normale e mi chiedo. . .»

GLENVIONWhere stories live. Discover now