«Avanti, smettila. Capisco cosa provi, credimi. Però. . . devi fidarti se ti dico che presto tutto ti sarà chiaro. Sappi che noi siamo al tuo fianco e ora che finalmente sei qui...Ma adesso devi andare, continua lungo questa strada, quattrocento metri, incontrerai una grossa palazzina verde. Sali al secondo piano, troverai una porta con una targa...bussa.»

Tim smise di parlare mentre Patrich aveva registrato tutto nella sua mente, la testa ancora poggiata sulla spalla dell'uomo. Non lo sentiva più respirare. Alzò lentamente il capo e capì subito che era morto. Non lo conosceva, ma sentiva che questi in qualche modo avrebbe voluto proteggerlo, parlargli, ma non ne aveva avuto il tempo. Anch'egli conosceva suo padre, come altri anche lui era coinvolto in quanto stava accadendo, ed era morto. Non esitò oltre, raccolse le forze e si alzò, doveva cercare una palazzina verde. Riprese a camminare quanto più velocemente poteva. Era imprigionato dalla paura, pietrificato, come se ad ogni passo dovesse andare in frantumi per poter avanzare, in un certo senso tutto quanto era accaduto aveva dissolto ogni sua certezza, messo in dubbio ogni istante che aveva vissuto, frantumato la sua identità. Notò la palazzina, vi fu di fronte alcuni minuti più tardi, una donna delle pulizie usciva dal portone principale in quel momento. Approfittò per entrare prima che la porta si richiudesse, quindi salì le scale e cercò una targa.

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Era l'unica, doveva bussare lì. Alcuni secondi dopo un uomo alto e dall'aspetto stanco gli aprì. Lo stupore che gli si dipinse sul volto quando vide il ragazzo confermò che la visita di Patrich era inaspettata.

«Tu, tu. . . che ci fai qui? Dov'è Tim? Doveva sorvegliarti? Perché diamine sei qui?» chiese agitato Emmanuel.

Patrich spinse la porta, voleva solo entrare e sedersi. Tim, ora conosceva il nome, entrò e notò a terra qualche macchia di sangue mal ripulito, rivolse lo sguardo al viso dell'uomo e si rese conto che le labbra erano contornate da un alone rosso. Con immediatezza estrasse la pistola puntandola contro l'altro; Emmanuel non si mosse, non sembrava affatto sorpreso da quella reazione

«Cosa significa questo sangue? Volete dirmi chi cazzo siete?»

Emmanuel lo invitò a sedersi, ancora una volta non sapeva per quale motivo ma sentiva di dover dare ascolto ad uno sconosciuto. Si accomodò sul divano, quindi l'altro gli si rivolse «Hai ucciso Tim?»

Patrich osservava la pistola nelle sue mani, la buttò sulla poltrona e frettolosamente si giustificò.

«No. . . no. . . che diavolo dici?! Ho ammazzato a casa quell'essere strano, ma ci è voluto quasi un caricatore per farlo fuori. Poi sono scappato e ho incontrato questo Tim, era stanco, stava per terra e mi ha detto di venire qui, poi. . . non so perché ma è morto, non respirava più!»

Emmanuel si sedette vicino a lui, abbassò il capo, strinse forte le labbra passando le dita tra i folti capelli scuri, quindi iniziò a dire qualcosa.

«È inutile aspettare, anche Tim ci ha lasciati, ma mi rincuora che tu lo abbia conosciuto, per un attimo ho creduto che lo avessi ucciso, non ti avrei perdonato. Ora, ascoltami. Ti è stato detto dove devi andare domani e a che ora?»

«Si, Johan, alla cattedrale, domani.»

«Bene dovrai attendere domani allora per conoscere quanto Johan ha promesso di rivelarti, tuttavia ti spiegherò ciò che vedi qui e ora. Questo sangue a terra, di chi pensi che sia?» chiese Emmanuel mentre gli occhi a stento riuscivano a trattenere le lacrime, nondimeno scrutava il ragazzo.

«Credo tuo, visto che la tua bocca è sporca. Oppure di qualcuno, tipo...di Tim? Che vuoi che ne sappia?»

Patrich si alzò dal divano. Emmanuel invece rimaneva seduto, estrasse una pillola dai pantaloni e la inghiottì.

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