Frammenti: Emanuela

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Cielo terso. Inabissato nei miei studi, mentre cerco di destreggiarmi tra voltaggi, amperaggi e potenze. La luce alla mia sinistra proietta l'ombra dei miei capelli direttamente sul mio quaderno. Rimango a fissarla quell'ombra, a disegnarne i contorni con lo sguardo. Quella parte di me che vedo solo io e che vorrei non mostrare a nessuno, la mia parte più intima, la mia essenza.

Picchietto la matita sul bordo del tavolo, noncurante di ogni possibile segno che stia lasciando. Solo un'esternazione del mio apparente nervosismo.

Ad un tratto telefono. Un numero sconosciuto appare sul display.

Non sono solito a rispondere a numeri che non ho memorizzato, ma rispondere probabilmente mi aiuterebbe a distrarmi dai miei pensieri e dagli esercizi, quindi senza indugiare pigio sull'icona verde.

Silenzio.

Pronto!

Sono io...mi riecheggia una voce femminile. Non la riconosco.

Io?

Sì, sono io... che fai? insiste. Continuo a non riconoscerla. Il tutto ha l'aria di un bello scherzo, la cosa più logica da pensare.

Ma non lo è.

Studio... sono sui libri. Posso sapere con chi sto parlando?

Come? Non mi riconosci? avverto un certo astio.

Non ho alcuna intenzione di mentire, non mi interessa passare per uno sfacciato.

Onestamente no. Mi dica con chi sto parlando e chi sta cercando per cortesia, – faccio verso la mia interlocutrice, serio e deciso. Sono pronto a riattaccare, la distrazione che mi sono concesso sta diventando fastidiosa.

Emanuela! Non ti ricordi più? finalmente un nome. Ancora non riesco a capire.

No... replico con tono

Come no? l'astio si è trasformato in tristezza.

A scuola, in palestra...

Pausa.

Forse non si tratta di uno scherzo e cerco nell'arco di pochi secondi di associare un nome ai volti di coloro che erano in classe con me, prima al liceo, poi alle scuole medie.

Nessuna Emanuela.

Inizio a pensare che abbia sbagliato numero e glielo stavo per rinfacciare quando lei mi dice:

Ti voglio bene, ti voglio tanto bene, lo sai? Lo sai? Lo sai che ti voglio tanto bene?

Spiazzato ancora per qualche secondo. Al terzo "bene" alla mia mente inizia a riaffiorare il ricordo, la cadenza della voce, il modo insistente di parlare. Mi appare un immagine di una ragazza che frequentava il liceo con me, almeno per i primi due anni, non nella stessa classe. Ricordo il suo sguardo vivace, la voglia di vivere che aveva e spero che abbia mantenuto con gli anni. Una ragazza dolcissima, in tutti i sensi. Si era particolarmente affezionata a me e io ricambiavo il suo affetto con il mio miglior sorriso. Ricordo che un giorno mi disse appoggiando la sua testa sulla mia spalla: "Stiamo insieme? Ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene..." e io continuavo a sorriderle dicendole di sì. Come avrei potuto mentirle? Non ne avevo la forza, vedevo nei suoi occhi la felicità; forse perché funziona così, la vedi sempre negli occhi che non siano i tuoi.

Cerco di aggrapparmi al ricordo che porto di lei e le dico:

Sì! E tu come stai?

Nessuna risposta. Silenzio. Di nuovo.

Mi preoccupo, poi mi sento ribattere improvvisamente:

Voglio venire a trovarti così ti regalo il mio anellino, lo sto facendo per te. Ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene, – sempre ripetuto tre volte, è il suo modo per comunicare la propria fermezza in quello che diceva.

Sorrido.

Anch'io ti voglio bene, Emanuela. dico di rimando.

Mi piace quando dici il mio nome per intero, sei un bravo ragazzo... mi vuoi sposare?

Silenzio.


E ora ditemi,

dove posso trovare la forza per mentire ad una ragazza con la sindrome di down?

Torquis margaritarumOnde histórias criam vida. Descubra agora