11.

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"Ma certo che Orfeo si sarebbe voltato alla supplica di Euridice, come avrebbe potuto evitarlo? Perché è vero, nessuno in possesso delle proprie facoltà mentali l'avrebbe mai fatto, ma Orfeo non lo è, per amore, per lutto, per disperazione. Perdere un mondo per uno sguardo? Certo che si. Il mondo esiste per questo, per essere perduto, date le debite circostanze. Come avrebbe potuto chiunque tenere fede alla promessa fatta, sentendo la voce di Euridice alle proprie spalle?"

Claudio

Claudio si era sempre chiesto come sarebbe stato. Se un giorno tutto quello che lui e Mario avevano, che provavano, si fosse trasformato. Forse perché sapeva che in fondo era inevitabile. Che certi legami sono destinati a trasformarsi continuamente, a crescere, anche se non te ne prendi cura. Anche se lasci che questi facciano il loro corso, senza impegnarti ad alimentarli, a custodirli. Perché superano tutto. Anche la distanza, anche la poca cura, anche le incomprensioni. E forse è solo destino che esistano. Per questo quello che era successo, forse era semplicemente inevitabile, Claudio non lo sapeva. Ma in fondo si sentiva pronto. Si era spinto oltre con Mario, forse anche più del dovuto, ma lo aveva fatto perché questa volta era sicuro. Stava crescendo. E forse gli avrebbe potuto dare tutto ciò che aveva sempre chiesto. Aveva avuto tante persone nella vita, forse troppe. Ma si ritrovava, a trent'anni, a pensare di non aver mai vissuto prima qualcosa di tanto intenso come quello che era successo quella notte. Qualcosa di tanto totalizzante.
Sapeva che Mario non stesse dormendo, se ne rendeva conto dal suo respiro. Non era regolare, né profondo. Non era il respiro di chi dorme. Era sveglio, ma aveva gli occhi chiusi. Ed era immobile. Lì, mentre Claudio se lo stringeva addosso, con il viso poggiato sulla sua spalla. Chissà se aveva dormito. Chissà se i suoi pensieri erano uguali a quelli di Claudio, in quel momento. Lo sentì muoversi impercettibilmente a contatto con la sua pelle nuda, le labbra poggiate sul collo, e sorrise spontaneamente. Gli sarebbe piaciuto fermare il tempo a quell'istante, gli sarebbe piaciuto tenersi addosso Mario per sempre.
"Sei sveglio, vero?" Gli chiese infine, attendendo in silenzio poi una sua risposta. Mario smise di respirare, non sentì più il calore caldo e rassicurante del suo fiato sul collo. Restò per un po' in silenzio, poi finalmente aprì gli occhi e Claudio si sentì invadere dal nero. C'era dentro qualcosa di strano, in quello sguardo. Qualcosa che non riusciva a decifrare. Tentò di scacciare tutti i pensieri e concentrarsi solo sulla persona che teneva stretta a sé.
"Buongiorno." sussurrò, soffiando direttamente sulle sue labbra. Poi le incastrò alle sue e gli sembrarono ancora più morbide e calde della notte precedente. Baciò Mario e intanto si trovò a pensare che gli sarebbe piaciuto svegliarsi così ogni mattina. L'altro restò immobile per un attimo, poi rispose al suo bacio, permettendo alle loro labbra di scontrarsi e incontrarsi ancora. Claudio gli accarezzò la nuca e poi la spinse con dolcezza, per portarselo ancora più vicino. Si spostò dalla nuca al collo, poi al petto e poi scese verso l'addome, ma la mano di Mario si posò delicatamente sulla sua, bloccandola. Claudio si allontanò e lo osservò perplesso. Vide di nuovo quella strana sfumatura nel suo sguardo.
"È tutto ok?" Gli chiese e restò con il fiato sospeso, in attesa di una risposta che non arrivò. Mario infatti si limitò ad annuire, sorridendogli e accarezzandogli una guancia. Ma era un sorriso forzato, quasi finto. Claudio cercò ancora di non pensarci.
"Vuoi fare colazione?" Continuò allora, nel vano tentativo di rendere quel momento di nuovo perfetto, come lo era stata quella notte, come lo era stato il momento in cui si erano sentiti l'uno dell'altro. Mario annuì, così Claudio si alzò dal letto, non prima di avergli posato un bacio leggero sulla fronte, e si allontanò verso la cucina, sentendo improvvisamente freddo senza il corpo di Mario sul suo. Preparò il caffè, mentre sentiva il rumore del getto dell'acqua proveniente dal bagno, poi apparecchiò posando sul tavolo il latte, i biscotti e la spremuta d'arancia, perché quella piaceva a Mario. Si sedette e attese in silenzio, ripensando alle ore che aveva appena trascorso, a Mario, al suo profumo, a loro. Non era pentito di quello che aveva osato fare, anzi ne era felice. E anche Mario sembrava felice quella notte, ora però aveva un comportamento strano e Claudio non riusciva a capire. Poi però sentì la sua voce. Doveva appena essere uscito dalla doccia e stava parlando al telefono.
"Lo so, mi dispiace. Nicolò, so che avrei dovuto avvisarti, ma è stata una cosa improvvisa. Ti spiegherò tutto. Si, torno oggi stesso."
Solo quelle poche parole. A Claudio ci volle un po' per comprenderle fino in fondo. Poi tutto gli fu più chiaro. Mario se ne sarebbe andato via. Sarebbe tornato dal suo fidanzato. E a lui non sarebbe rimasto nulla. Solo la notte appena trascorsa. E Claudio magari aveva sbagliato tanto nei confronti di Mario, questo lo aveva sempre ammesso. E avrebbe fatto di tutto per recuperare. Ma quello, quello che Mario gli stava per fare. Era troppo. E lui non lo meritava. Afferrò la caraffa con la spremuta d'arancia all'interno e la versò nel lavandino. Gli ci volle tutto il controllo di cui disponeva per non piangere. O urlare. Sentì i passi leggeri di Mario, lo sentì alle sue spalle. Ma non si voltò. Si appoggiò al ripiano della cucina, facendo forza lì. Vide le nocche impallidire per lo sforzo. Provò dolore ma non gli importò.
"Hey, facciamo colazione?" Sussurrò Mario alle sue spalle. Poi gli posò delicato una mano sulla spalla, ma Claudio si scansò, allontanandosi. Si voltò e vide di nuovo quel nero. E questa volta capì. Ci lesse dentro paura e qualcosa di molto simile al senso di colpa.
"Claudio..." Mario lo richiamò, doveva essersi accorto dei suoi occhi rossi e gonfi.
"Sei venuto da me solo per scopare?" Gli chiese. Era calmo, impassibile. Ma sentì la sua stessa voce tremare appena.
"Claudio, cosa dici?" Mario scosse la testa, ma Claudio poteva vederlo. Poteva vederlo dai suoi occhi che stava andando via da lui.
"È stata solo una scopata, giusto? E ora tornerai da lui." Specificò e vide anche gli occhi di Mario diventare rossi e gonfi.
"Lo sai che non è così. Non potrebbe mai essere così. Io lo volevo." Gli rispose l'altro deciso. Ma Claudio scosse la testa, lasciandosi andare a una risata sarcastica.
"E allora resta. Qui. Con me." Scandì ogni singola parola e si sentì rabbrividire. Non aveva mai pensato di voler sul serio che Mario fosse solo suo. Che scegliesse lui e basta. Mai. Fino a quel momento. Mario abbassò lo sguardo, prese a fissare insistentemente un punto sul pavimento. Non avrebbe risposto. Claudio ormai lo conosceva troppo bene.
"Non vuoi. Tu vuoi tornare da lui." Affermò convinto. Perché ormai era sicuro di quale fosse la scelta di Mario.
"Lui è il mio fidanzato Clà. Stiamo insieme da due anni. Non posso buttare tutto all'aria per questo. Questa notte io lo volevo, lo giuro. Ma quando ho aperto gli occhi mi sono reso conto di aver commesso uno sbaglio. Perché lui è il mio fidanzato e mi dà sicurezza, stabilità... Per favore, non piangere." Mario gli si avvicinò, passandogli delicato le dita sulle guance. Solo in quel momento, osservando i suoi polpastrelli umidi, Claudio si rese conto che aveva sul serio cominciato a piangere.
"Uno sbaglio? Tu sei parte di me da cinque anni, l'anno scorso hai detto di amarmi e lo sai Mario, lo sai quello che provo per te!" Gli urlò contro, prendendo la mano che Mario gli teneva sulla guancia e stringendola nella sua, perché anche in quel momento sentiva la necessità di averlo vicino.
"Però non me lo hai mai detto, Claudio, e in questo anno non mi hai mai cercato. Hai riallacciato i rapporti con tutti, Clarissa e Federico, i tuoi genitori, tutti tranne che con me."
E Claudio sapeva che in quel momento glielo avrebbe dovuto urlare addosso. Quanto lo amava. Che forse Mario così sarebbe rimasto. Lo sapeva, ma non ci riuscì.
"Credevo che non lo volessi, che non volessi vedermi." Si limitò a dire, abbassando lo sguardo. Mario sospirò rumorosamente.
"Non ce la faccio Clà. Sarebbe sempre così, lo sai." Sussurrò Mario, riferendosi alle loro liti, alle incomprensioni, al loro non riuscire a starci, insieme.
"Io preferisco questo, con te, piuttosto che la pace con chiunque altro." Sorrise Claudio con tristezza. Mario gli lasciò la mano, allontanandosi.
"Io però non ce la faccio. Forse il nostro destino non è questo, forse non siamo fatti per stare insieme. Però l'importante è esserci. E io voglio che tu ci sia. Perché non posso perdere il mio migliore amico." Mario smise di parlare, aveva la voce che tremava, Claudio riusciva a percepirlo. Restò qualche istante fermo, forse in attesa di una sua risposta. Poi sospirò, prese le sue cose e si avviò alla porta, Claudio ancora immobile al centro della stanza.
"Non siamo mai stati amici, noi." Riuscì solo a sussurrare questo e vide Mario fermarsi proprio davanti alla porta. Sperò con tutto se stesso che si voltasse, che lo guardasse, che tornasse da lui. Mario però non lo fece. Andò via.

Dieci anni prima...

"Orfeo  era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope.
Il Dio Apollo un giorno gli donò una lira e le muse gli insegnarono a usarla.
Acquistò una tale padronanza dello strumento che tutti restavano incantati da quel suono, uomini e dei. Ogni creatura amava Orfeo ed era incantata dalla sua musica e dalla sua poesia, ma Orfeo aveva occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride, che divenne sua sposa. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo, infatti un altro uomo si innamorò di lei. La fanciulla, per sfuggire alle sue insistenze, si mise a correre, ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morse, provocandone la morte. Orfeo, impazzito per il dolore, decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse con la sua musica Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige; il cane Cerbero e i giudici dei morti a farlo passare e riuscì a giungere alla presenza di Ade e Persefone. Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie erano così piene di dolore e di disperazione che gli stessi signori degli inferi si commossero. Fu così che fu concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi, a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Orfeo, presa così per mano la sua sposa, iniziò il suo cammino verso la luce. Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente. Ebbe paura che quella che teneva per mano fosse solo un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma, nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto, Euridice svanì, e Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta."

Era al primo anno alla facoltà di lettere, Claudio, era già tra i più popolari del suo corso, e preferiva di gran lunga le feste e le donne e gli uomini con cui passava le notti alle lezioni, che gli sembravano quasi tutte di una noia mortale. Solo quelle di mitologia greca riuscivano a rapirlo tanto. Si trovava trasportato in un'altra dimensione, in un'altra epoca. Era stregato da quei miti, da quella cultura. Stava riflettendo sulla storia d'amore di Orfeo ed Euridice appena raccontata dal professore, ma una strana sensazione lo colse. Si sentì osservato. Si voltò verso destra e, a qualche metro di distanza da lui, vide per la prima volta quel ragazzo. Quel viso perfetto, quegli occhi neri. Non ricordava come si chiamasse, né se lo avesse mai visto. Ma quegli occhi gli diedero una sensazione strana. Si sentì nudo, quasi a disagio. Ma anche prezioso. Gli sorrise e quel ragazzo abbassò lo sguardo, visibilmente in imbarazzo. Gli sembrò strana la timidezza in quello sguardo tanto sicuro, una nota stonata ma bella.
La lezione finì qualche minuto dopo e Claudio si affrettò a raggiungere, senza neppure saperne il motivo, quel ragazzo che stava già correndo via, i libri stretti al petto.
"Hey!" Lo richiamò, posandogli una mano sulla spalla per fermarlo. Vide l'altro quasi rabbrividire a quel tocco e fermarsi all'improvviso. Il ragazzo si voltò e lo guardò perplesso.
"Sono Claudio, piacere." Gli porse la mano, che l'altro guardò un attimo, prima di stringere.
"Mario." Gli rispose soltanto. Poi però gli sorrise. E Claudio probabilmente un sorriso del genere non lo aveva mai visto. Si avviarono verso l'uscita, l'uno di fianco all'altro.
"Interessante, no? La lezione di oggi." Accennò Claudio, curioso del parere dell'altro.
"Si, anche se è un po' sciocco."
"Cosa?" Chiese Claudio, perplesso.
"Perdere tutto. Rinunciare a una vita insieme, solo perché non si è abbastanza pazienti. Solo perché non si ha il coraggio di aspettare."
Claudio ci riflettè un attimo.
"Beh, forse l'amore in questo caso è tanto forte da far perdere la facoltà di ragionare in modo lucido. Forse ne è valsa la pena, perdere tutto, per un solo, singolo sguardo." Disse poi, convinto. Mario scosse la testa.
"Io credo che saper aspettare sia il modo migliore di amare. Che te ne fai di un singolo sguardo, di un momento, quando puoi avere la vita intera?" Gli chiese. Claudio alzò le spalle, perché in fondo si, forse aveva ragione.
"Tu quindi ci riusciresti? A non voltarti? Ad aspettare il momento più giusto?" Gli chiese curioso. Mario annuì convinto.
"Si, io si." Gli rispose. Qualcuno lo chiamò, incitandolo a raggiungerlo. Claudio lo conosceva, era Federico, un loro compagno di corso. Clarissa aveva una cotta per lui. Mario allora gli rivolse un cenno di saluto veloce con la mano. Non attese nessuna risposta da Claudio. Corse via. E non si voltò.

Quando ci rivedremoWhere stories live. Discover now