Un assaggio di romanaccio

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A chi si appresta a leggere la mia opera voglio fare un regalo: una lista di parole che un romano usa, in genere, senza chiedersi se esitano davvero. Credo che questo vi aiuterà a calarvi meglio nel mio mondo, fatto di due romani, di cui una trapiantata per certo tempo a Firenze. Il romanaccio utilizzato nella mia opera non è molto in realtà, ma qualche accenno era d'obbligo.

Occorre ora una premessa, dovuta a mio nonno. Lui mi ripete senza stancarsi mai, che quello che parlo io, aka romanaccio, nulla ci azzecca con il romanesco. Quest'ultimo appartiene a poeti del passato, come Trilussa e Belli, e a quelli come mio nonno, romano da sette generazioni, che si ostinano a dire sellero, anziché sedano. Il romanaccio, oggi, non è un vero e proprio dialetto: è fatto più che altro di neologismi, con cui ci divertiamo a ricamare le frasi.

Questa lista verrà aggiornata se e quando mi verranno in mente altre parole. Sentitevi liberi di suggerirmene. Spero questa mia idea vi piaccia.

Scialla: dato il film uscito qualche anno fa, mi aspetto che più di qualcuno conosca questo termine. Voi no? Bene! "Scialla" è una parola che cambia leggermente il suo significato a seconda del contesto, ma in soldoni significa rilassato. Esempi pratici: "stai sciallo" sta per "rilassati"; "Scialla!" sta per "è tutto ok, tranquillo". Sono usati anche i più triviali "sciallati", o "sciallate". Mio nonno rabbrividisce, ma questo è quanto. Secondo alcune indagini dell'Accademia della Crusca, l'etimologia non è certa. Tuttavia, mi piace citare, tra le ipotesi avanzate, quella che sostiene derivi dall'arabo " inshallah!", letteralmente "grazie a Dio!". Secondo questa teoria, quello che oggi usiamo come intercalare polisemico è stato direttamente mutuato da coetanei arabofoni e poi adottato in italiano giovanile anche per la sua facies fonetica "ludica", scherzosa, con il valore aggiunto di portar con sé "la calma mediterranea, magari arabeggiante".

Imbruttire qualcuno: ho fatto caso all'uso che faccio di questa parola grazie a una lettrice.   Grazie! "Mi imbruttisce", o "Lo imbruttisco" sta per "mi guarda male", "lo guardo storto", ma ha una sfumatura più marcata.

Marpione: "vecchio marpione" è un'espressione tipica che sta a identificare una persona furbetta. Il marpione, propriamente, sarebbe un approfittatore, una persona furba e senza scrupoli. Questo significato discende dal francese, più precisamente dal termine sanguisuga, ossia morpion. Oggi, però, se si parla di marpione è ineludibile un certo connotato sessuale: il marpione è infatti più che altro un furbacchione licenzioso, che non perde occasione per assecondare i suoi istinti libidinosi.

Sgamare: questa parola io la adoro. È nata in gergo carcerario e vuol dire proprio "scoprire", "beccare". "T'ho sgamato" is the way. La voce gergale originale del romanesco e risalente alla metà degli anni '50 era scamare, ossia "togliere la pula, sgusciare", a sua volta derivata dal latino "exsquamare", nel senso di privare dell'involucro.

Sboo: suono onomatopeico che almeno nella mia cerchia significa proprio "ti ha fregato", perché il più delle volte lo dice una terza persona che assiste ai fatti. Sì, noi romani, soprattutto tra amici, non perdiamo occasione per non farci gli affari nostri.

Daje, cugino di Eddaje e Aridaje: è tra i pochissimi lemmi che mio nonno approverebbe. È il retaggio del verbo dare in romanesco. Oggi ha assunto molteplici sfumature... "Evvai", da accompagnare a qualche colorito improperio per enfatizzare. "Ti prego", quando seguito da "oh". Può anche essere esortativo, invitando a darsi una mossa, in genere quando preceduto dalla e, ossia "Eddaje". Aridaje è spesso rivolto all'amico che in macchina ha fatto l'en plein di buche e tombini, a quello che sbaglia qualcosa per l'ennesima volta, o a mia madre quando mi ripete in ordine "hai spento il gas, hai chiuso la porta, ti ho lasciato nel frigo...". Siamo un popolo poco paziente. Dimenticavo..."daje giù" serve a incoraggiare. Insomma, daje sta bene in ogni frase. Vi citerò anche il detto, che mio padre usa più del dovuto quando regala sottobanco qualcosa da mangiare al cane e mia madre gli intima di farla finita: "Magna, fatte grossa, pja marito e daje addosso". Il cane è femmina, ovviamente. 

Sti cazzi e sto cazzo: ho recentemente scoperto, in una di quelle serate ad alto contenuto culturale -si fa per ridere- che al nord hanno un significato molto diverso, contrario addirittura. Se a un romano dici "sti cazzi" lui lo interpreta come "non me ne frega niente". Al nord, a quanto pare, vuol dire che hai fatto qualcosa degno di nota. Così ho capito io, almeno. Viceversa, per noi lo "Sto" al posto di "Sti" cambia tutto sconvolgendo il significato che si vuole comunicare. La seconda espressione, al contrario della precedente, denota sgomento. Pure qui, smentitemi in caso contrario, al nord si ha il significato opposto. Non è infrequente a Roma, che anche "Sto cazzo" sia utilizzato in modo caustico.

Me cojoni: sì, si scrive con la j. È uguale ad "ammazza, oh". Entrambi stanno per "ah, però", o "accipicchia" e spesso si usano in maniera piuttosto sarcastica. Il sarcasmo ci scorre nelle vene da quando Roma fu fondata. Aspettatevi che una parola, che in italiano vuol dire una cosa, in romanaccio, e perfino in romanesco, ne intenda un'altra.

Top: recentemente entrata a far parte del romanaccio, è un'espressione che io non uso moltissimo, ma che sento continuamente. Praticamente si usa per "bomba", ossia "ottimo", "superlativo"...

Cari lettori, spero questa mia idea vi sia piaciuta. Fatemi sapere che ne pensate.

C'è un'espressione tipica della vostra terra, che usate costantemente, senza più farci caso? Condividetela qui, se vi va. :D

Con il tempo, probabilmente, aggiungerò anche altre parole. Se nel testo troverete qualcosa di dialettale, di cui vorreste scoprire di più, non avete che da chiedere; stessa cosa vale per termini romani che vi incuriosiscono e di cui non capite il senso. Buona lettura a tutti.

Io, la mia moto e... forse tu!Where stories live. Discover now