17. L'Imperatore Pallido

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L'uomo mi fissa a lungo, in silenzio, senza una vera espressione sul viso. Poi distrattamente abbassa lo sguardo, ridestato dal suono di un tintinnio leggero. Quando sulle sue gambe balza White Lily, fatico a deglutire e sento i miei occhi scaldarsi, come se mi venisse da piangere.

Non so perché.

È una reazione totalmente senza senso! Ma gli occhi gialli del felino mi squadrano intensamente e io mi sento tradita.

È come se mi fossi strappata di dosso con tanta fatica una pelle che mi soffocava, e mi fossi avvicinata a un nuovo vestito da indossare, per poi scoprire che alla fine era sempre la stessa pelle di prima, solo celata da uno spesso strato di vernice!

L'Imperatore Pallido accarezza il bianco pelo di White Lily senza dire niente, e mi guarda come se vedesse una ferita sanguinare, con quella commozione mista a un tremendo silenzio, che precede il suono di una crepa impossibile da ricucire.

Non so se a sconvolgermi sia la scoperta del suo inganno, la confusione provocata dal fatto che la figura del terapeuta, così umano e vicino al tremare del mio cuore, sia anche l'aguzzino che cancella le persone, l'imperatore di un modo che divora se stesso.

Le mie tempie vengono invase da un martellare violento, come se il sangue faticasse a starsene al suo posto. L'uomo raccoglie una delle mie mani. La sua pelle è fredda, ma io stringo ugualmente il dorso tagliato della sua mano, forse perché ho bisogno di vedere qualche emozione albeggiare sul suo viso spento.

Tuttavia è a me che succede qualcosa di inaspettato: senza preavviso un fiume di lacrime bollenti inizia a scavarmi il volto, e pochi secondi dopo mi ritrovo a singhiozzare con una grande rabbia che mi artiglia la gola. Più stringo la mano del terapeuta, più vorrei urlare, ma alla fine non so più se respirare o piangere.

La tempesta finisce qualche minuto dopo e White Lily resta a fissarmi immobile per un momento, poi scende dalle gambe del suo padrone con indifferenza, come se lo spettacolo non fosse stato molto di suo gradimento.

L'imperatore invece, con un'espressione indecifrabile, estrae un fazzoletto dal suo gilet di pelle e me lo porge con un movimento aggraziato. Inutile dire che soffiarmi il naso mi fa quasi ridere, perché lo trovo un gesto troppo umano (e in un certo senso molto consolante!) in un viaggio così surreale.

Non mi chiedo cosa sto facendo quando mi rannicchio sul divano, con il capo appoggiato sulle gambe del pallido uomo, voltata verso le fiamme del candelabro. Non mi chiedo nulla neanche quando lui inizia ad accarezzarmi la testa dolcemente. Il suo tocco è così gentile e familiare che le mie palpebre vacillano.

Incredibile pensare come a volte basterebbe solo una carezza.

«Ti stavo aspettando», la sua voce è proprio come la ricordavo, avvolgente e calda.

Vorrei rispondere che lo sapevo, ma non è così. Non mi aspettavo di lottare tanto per sprofondare nel caos e trovarmi piena di contraddizioni a piangere rannicchiata nell'oscurità, appoggiata sulle sue gambe, mentre districa i miei capelli con le sue lunghe dita.

«Di cosa dobbiamo parlare?», chiedo con voce roca.

«Oh, di nulla se non vuoi. Possiamo stare qui quanto vuoi anche senza fiatare», risponde lui.

«Vuoi dire che potrei anche stare qui per sempre? Che non devo più andare là fuori a lottare?», la testa mi gira vorticosamente e non so neanche io che sto dicendo.

«Sì, possiamo restare insieme tutto il tempo che desideri», dice, senza cambiare inflessione nella voce. È pacato, tranquillo, come se avesse già vissuto questa stessa scena già un milione di volte.

Resto in silenzio a fissare le fiamme del piccolo candelabro d'ottone. Le carezze dell'imperatore sono simili alla voce di un fantasma: il freddo che provo sulla pelle è il medesimo.

«A volte mi sembra di essere nella giusta direzione», mormoro, «mi sembra di poter colmare il vuoto d'inquietudine che mi consuma, ma poi tutto crolla, muta, e io mi risveglio in preda alla confusione, arrabbiata, e con tanta nebbia intorno»

Nel dirlo, graffio con le unghie il tessuto nero dei pantaloni sulle sue ginocchia.

«Talvolta ciò che desideriamo conta ben poco.», risponde lui, senza smettere di accarezzarmi la testa, «Dentro siamo legati a qualcosa che è molto più antico di noi. A volte è un demone sporcato da baci febbrili, altre è un angelo affilato, assetato di domande. Razionalmente facciamo grandi voli, elucubrazioni fantasmatiche su come liberarci dai nostri fardelli, abbiamo spiegazioni convincenti e splendidi piani. Ma alla fine restiamo crocifissi ai nostri tormenti, come strani cristi che avvampano, consacrati a stelle troppo calde che non riusciamo mai a raggiungere. Ma poi, sono davvero quelle le stelle che desideriamo? Il dolore ha bisogno di molta pazienza per essere levigato, eppure noi la pazienza la incateniamo, come una regina cieca, troppo vecchia per insegnare ancora»

«Vuoi dire che ci crediamo liberi, ma che siamo tutti schiavi di demoni invisibili?», chiedo, girandomi nella direzione del suo volto.

«I demoni non sono poi così invisibili.», risponde il terapeuta sorridendomi con tenerezza, «Sono gli angeli a muovere le nostre azioni più terribili per poi nascondersi»

«E perché mai dovrebbero nascondersi?», sorrido incredula.

«Sai, forse si vergognano un po' di tutto il dolore che ci fanno sopportare. Forse non hanno il coraggio di far vedere che sono lì accanto a noi, anche mentre sanguiniamo», risponde.

«Li riempiremo di troppe domande», dico, sollevando lo sguardo in alto, verso il nero.

«O forse non potrebbero ancora spiegarci perché stiamo facendo quella strada. Forse non saremmo ancora pronti per capire», dice lui, sfiorandomi il profilo del naso con le dita, mentre il mio stomaco si stringe in una morsa.

«Hai attraversato tanto dolore Ciscandra», dice l'uomo, appoggiando una mano gelata su un lato del mio viso «questo non è differente dagli altri, non ti ucciderà. Tutto questo tumulto che senti è fame. Fame di vita. Quindi celebra questa mancanza che ti consuma, perché è fame di esistenza vissuta nel midollo, è sete curiosa di arrivare a sfondare i propri limiti, per alzarsi su un campo di cadaveri freddi e gridare di essere vivi, nonostante tutto. La passione per la vita è la sola cosa che conta, mantenere dentro questo inesauribile fuoco che consuma. Il resto non conta, è perdibile, sostituibile, ma tu non lo sei. La persona nuova che vuole uscire da te dopo ogni battaglia: quella è la sola cosa per cui devi lottare. Tu sei la tua priorità»

«Mi sento strana», dico, guardando i suoi occhi neri che sembrano quasi sciogliersi in quella strana maschera di polvere bianca.

L'Imperatore Pallido solleva la mia testa tra le sue mani enormi. «Io mi sento come una tela da imbrattare», sussurra. Poi appoggia le sua bocca sulla mia in un bacio freddo e profondo.


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Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora