13. Ho una voce. Ascoltami ruggire stanotte.

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«Stiamo cercando un locale, il Panic Attack. Tu sai dov'è?», Ambra sembra non voler perdere tempo in spiegazioni.

«Mmn, non credo di saperne molto. Facciamo spettacoli in tutti i distretti di Personality Disorders, ma non mi pare di averne mai sentito parlare. Però puoi sempre chiedere all'Indovina di Ferro quando arriveremo», Alaska lo dice senza neanche guardarci. Il suo sguardo resta perso nelle nuvole di polvere fuori dal finestrino, mentre si accende la sigaretta.

Vorrei chiedere qualcosa in più su questa Indovina, ma non riesco ad aprire bocca. Sono troppo nervosa, così inizio a mordermi le labbra, mentre osservo Ebonie rannicchiarsi il più lontano possibile da noi, con un libro consumato a nasconderle la maschera cangiante.

Alaska si volta di scatto, cogliendo il mio sguardo verso il caschetto fulvo della ragazzina.

«È una persona ferita difficile da portare dentro», le sue parole strisciano lente ai miei piedi, insieme ad una nuvola di fumo. Percorro i suoi lineamenti duri e truccati con eleganza, mentre cercano qualcosa nel mio sguardo.

«Non sei come loro», dice Ambra, fissando per qualche secondo Adore e Zucchero, che ridacchiano assorte in una conversazione con Dalila.

«Quando sono nata mi chiamavano Daniel. Ero un bambinetto grazioso dicono, tutto riccioli neri e grandi occhi macchiati di sogni.

A volte mi chiedono quand'è iniziato tutto questo. Ma non è che sia mai iniziato da qualche parte o ad un certo punto.

Io sono sempre stata così: lancinante come una carezza, crudele come un morso, con quel coraggio che sembra un prato brulicante di denti di leone, e tanta luce nella testa pronta a mangiare il cielo.

Nel mio cuore c'è sempre stata la consapevolezza di essere una frequenza diversa, rispetto a come il mondo mi percepiva.

A volte quella consapevolezza diventava però pesante, assomigliava a quel pugno che ti pulsa in gola prima del pianto: sembra poterti spezzare, eppure tu lotti perché hai così tanta carne nuda fuori da far asciugare»

Gli occhi scuri di Alaska cercano fuori dal finestrino il sole, ormai inghiottito dal deserto.

«Quando non ci sentiamo amati ci sentiamo così brutti. È quasi magico vedere come il corpo si modella con il nostro sentire: diventa grasso e informe, o troppo magro e invisibile, sopporta le nostre ferite, la paura, i sensi di colpa... diventa un campo di battaglia baciato di gonfie cicatrici, custode di un dolore che viene sfogato in mille forme differenti. Ma il dolore con cui io vivevo il mio corpo non è mai derivato tanto da un'incapacità degli altri di amarmi. È sempre stato più che altro espressione di un'intima necessità, di sentire il riflesso della mia anima anche nei lembi della mia pelle.»

Trattengo il respiro mentre quelle parole mi spogliano.

Ambra sostiene con intensità lo sguardo fisso di Alaska. Il silenzio ci avvolge denso ed io resto ad osservarle, mentre si guardano, senza accennare un movimento.

Poi Alaska cede, fa un piccolo sorriso verso un punto alle mie spalle, come se rivedesse un'immagine: «Per lungo tempo mi sono sentita sotterrata nel profondo. Ho spezzato molte unghie per scavare, per liberarmi di tutta quella pelle che mi soffocava. Mi sentivo abbracciata in una bara di radici, senza uno spiraglio di giorno. Volevo disfarmi di ciò che mi nascondeva.

Ma come si fa a disfarsi di qualcosa che ci appartiene così intimamente?

Alcuni dicono che alla morte abbiamo una scelta. Possiamo scegliere di riposare o di iniziare una nuova vita, in un nuovo corpo, che siamo sempre noi a scegliere.

In passato questa storia è diventata un'ossessione per me.

Mi chiedevo: com'è possibile che abbia scelto il corpo sbagliato? Perché l'ho fatto? Da cosa sono stata sedotta? Forse sono stata solo distratta?

Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroWhere stories live. Discover now