9. Un origami di carta sul baratro dell'incendio

Start from the beginning
                                    

Ambra non dice nulla, né ci invita ad entrare. Fila dritta verso la porta di legno bianco, facendo girare velocemente la serratura prima di sparire nel buio.

«Voi chi siete?», dice una vocina.

«Oh! Per Dio!», grida Didì, premendosi una mano sul petto spaventata.

La piccola voce proviene da una bambina, che ci osserva dal giardino della casa affianco. Indossa un tuta da danza color carne, e una parrucca bianca con una lunga frangetta e un taglio a caschetto. I suoi occhi sono gonfi e rossi, come se avesse appena finito di piangere, ma l'espressione è stranamente fredda, non sorpresa come la sua voce stridula.

«Da dove venite?», chiede ancora la bambina, lasciando la bocca e gli occhi chiari leggermente spalancati.

«Cielo, tesoro! Mi hai spaventato! Sei davvero carina con quella tutina! Quando ero piccola la mia mamma me ne ha fatto una uguale uguale, sai?», risponde la drag queen chinandosi verso la bimba.

«Ma tu sei un uomo. Gli uomini non indossano i vestiti da femmina», dice la bambina, mettendosi le mani sui fianchi e inclinando imbronciata la testa da un lato.

«Be' c'è una cosa che si chiama femminilità, e quella non appartiene al corpo ma solo alla nostra anima», risponde Didì dolcemente, e il mio cuore si stringe di tenerezza, mentre osservo i suoi abissi scuri cercare un assenso nel piccolo viso ovale.

«Layla!», una donna appare sulla soglia della casa rosa. Indossa un abito da sera verde smeraldo (con lo strascico), e lunghi guanti bianchi di seta. Sembra pronta per un gala. «Ah, sei qui! Con chi stai parlando Lili?»

«Con un uomo che fa finta di essere una donna», risponde la bambina, grattandosi la testa.

«Oddio! E perché mai finge?», chiede la donna, avvicinandosi con passo elegante ed espressione austera.

«Perché dice che la femminilità non appartiene al corpo», ghigna la bimba, con un sorriso malevolo e improvvisamente così adulto, che mi si blocca il respiro in gola. Per un momento mi sembra di trovarmi di nuovo di fronte alla Regina Bipolare.

Proprio allora parcheggia un'auto nel vialetto. La portiera blu sbatte, rivelando un uomo magrissimo, di una certa età. Numerosi tatuaggi colorati si rincorrono sulle sue braccia ossute e pochi capelli ricoprono la sua testa. Il viso scarno è scavato da sottili venature bluastre, mentre un grande ematoma s'irradia da uno dei suoi occhi verdi.

Dalla macchina esce anche un ragazzo. Quando lo vedo sobbalzo, perché è vestito con lo stesso completo bianco che Micheal Jackson indossa in Smooth Criminal.

Un ricordo improvviso mi abbaglia.

All'ospedale, nella sala ricreativa, c'era una tv che trasmetteva a ripetizione la cassetta di Juliet. Lei diceva che era importante per noi ascoltare la musica, che quella ci poteva guarire. Ricordo che su quella cassetta, i video registrati erano quasi tutti di Micheal Jackson, perché Juliet adorava Micheal Jackson.

Mi sembra strano ricordare questa cosa. È come se avessi riportato a galla un sogno, e ora, non lo so spiegare, ma non sono pienamente convinta che sia successo realmente.

I mocassini pieni di fango si avvicinano alla recinzione. Il ragazzo si toglie il cappello bianco, rivelando una capigliatura bionda, su cui sta sbiadendo della tintura nera.

«Salve. Posso fare qualcosa per voi?», chiede, guardandomi dritto negli occhi.

Mi affianco a Didì, che si stringe in un abbraccio, sollevando appena il mento.

«Nulla, grazie. Siamo solo di passaggio», dico con voce smorzata, «Alloggiamo qui da un'amica»

Ha davvero un senso logico ciò che ho detto?

Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroWhere stories live. Discover now