Capitolo 32: situazioni difficili

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Ubicazione sconosciuta, alcuni giorni prima

Il ticchettio cadenzato delle gocce d'acqua che scivolavano con grazia lungo la stalattite per poi staccarsi brutalmente e cadere nella conca prodotta dall'erosione della stessa, sempre più grande, era l'unico suono udibile: squarciava il silenzio ma senza disturbarlo, un'intrusione naturale che non stonava affatto, come i tenui e rari raggi che sfruttavano le poche aperture, crepe nelle pareti marmoree e cineree, dando un'idea di pace nel buio, eternità nella mortalità, morte gentile.

Quest'immagine, ambiente puro e intoccato, creava l'ambiente perfetto, secondo lui, un luogo dove gli opposti si scontravano e univano in celestiale armonia, yin e yang in più espressioni eccelse, fusi in equilibrio e ordine.

Ma l'ordine non era suo, no; la pace non gli apparteneva, non dopo tutto ciò che aveva passato e visto. Lui aveva scelto il caos, l'oscurità -un possibile destino.
Eppure la natura nella quale amava mischiarsi lo faceva sentire bene, lo faceva sentire a casa.

Un nuovo rumore si aggiunse a quello sottile dell'acqua. Il rimbombo si diradò per decine di metri lungo la galleria d'ingresso, preannunciando l'arrivo di qualcuno. L'intruso non si disturbò a muoversi silenzioso come il vento, voleva farsi sentire.

Lui rimase immobile, accomodato sopra una roccia al centro di un laghetto che rifletteva la tenue luce del sole, gli occhi chiusi per aiutarlo nella meditazione. Vari eventi negli ultimi tempi avevano preso a susseguirsi, sempre più velocemente, imprevedibilmente e inevitabilmente, e da settimane occupavano i suoi pensieri.

Ancora una volta, rifletté, ho perso il controllo sulla situazione. Perché deve sempre finire così? Cosa devo fare per riportare tutto alla normalità?

Aprì gli occhi, due pozze nere piene di rammarico e contornate da una sempre più crescente stanchezza, non fisica, ma più simile ad un peso sulla coscienza e sull'anima, che gli causava frequenti problemi di sonno e lo portava a isolarsi per tentare di ragionare ancora e ancora, tutto perché niente finiva mai secondo i piani, i suoi piani.

«Reiji.» lo chiamò una voce da dietro. «Che cosa facciamo?» domandò con un velo di preoccupazione nella voce.

L'uomo chiamato in causa non rispose. Si alzò composto, lisciando il kimono azzurrino che portava.
Si voltò: il nero più scuro si scontrò con il bianco perlaceo dell'altro individuo, un contrasto potente che però non li aveva mai allontanati: opposti e complementari.

«Vado a prendere una boccata d'aria.» esordì infine, tra il seccato e la pacatezza: la complicata situazione coinvolgeva direttamente i due, e nemmeno Reiji, nonostante la sua spontanea freddezza, riusciva a mostrarsi indifferente.

Spiccò un balzo, atterrando leggero su un'altura lungo una delle pareti, una sorta di balcone che gli offrì la visuale magica del loro rifugio -la loro casa- un'ultima volta prima di dargli le spalle e aprire la porta di legno bianco lì situata, e uscire.

******

Konoha, alcuni giorni prima

Il piccolo pettirosso fischiettava allegramente. Appollaiato sul ramo più basso, ascoltava con trasporto le grida che caricavano l'aria di profonda angoscia e furia, sguainata contro l'oggetto che, in quelle ultime ore, aveva catturato il suo interesse.

Si zittì quando la vide.
Una fluente chioma color pece attraversò il suo campo visivo, ma subito se ne aggiunse un'altra: una scia argentata, che a fatica colse tanto veloce si era mosso lo shinobi a cui apparteneva.

«Fermati!» le urlò quest'ultimo.

La ragazza sussultò, nascondendosi dietro il tronco dell'albero dove se ne stava il pettirosso a far da spettatore. Zampettò a destra e a sinistra frenetico, sbattendo le piccole ali per l'entusiasmo.

Naruto Shippuden: LA STORIA DI AKATSUKI NO  KEIKODove le storie prendono vita. Scoprilo ora