30 Gennaio 2017: primo ingresso all'inferno.

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«Non ti preoccupare, è una semplice visita. Vogliamo solo ascoltare il parere di altri esperti che non appartengano al centro che ti segue, perché non sta facendo molto in realtà.
Dimagrisci a vista d'occhio. Pesi 43kg...43kg!!
Il tuo peso normale sarebbe MINIMO MINIMO 54!! Devi darti una svegliata, ne io ne tuo padre ce la facciamo più.
E neanche tua sorella.....».
I discorsi di questo genere si susseguono, si ripetono ogni SANTISSIMO giorno.
Oramai li ho imparati a memoria, ma neanche loro sanno più cosa dirmi.
Il problema è che sperano ancora che io torni a mangiare.
Il problema è che non capiscono che non succederà.
Oggi è lunedì 30 gennaio 2017.
Sono sull'autostrada A4.
L'autostrada per Monza.
Perché Monza?
Perché nella mia città non esiste, neanche in ospedale, un reparto, un centro, qualcosa che prenda in cura adolescenti con disturbi alimentari che abbiano meno di sedici anni.
Io ne ho tredici, non possono aiutarmi.
Fantastico.
Stiamo andando all'ospedale di Monza, li, al reparto di Neuropsichiatria Infantile, esiste il Day Hospital per i disturbi alimentari, dedicato in particolar modo all'anoressia.
Non pensavo che ci fossero tante anoressiche, invece...siamo troppe.
Era una mia esclusiva.
Cercavo di staccarmi, in qualche modo dalla massa e sono finita in un'altra.
Una massa più fragile, certo.
Una sottocategoria sociale. Ma pur sempre una massa di organismi, esseri umani in fin di vita per loro scelta.
Non avevo mai visto un ospedale che non fosse quello della mia città.
Non so orientarmi in edifici così grandi.
Entri e ti sembra di essere in un centro commerciale se non fosse per le persone in giro in sedia a rotelle, mi sento male per loro.
Inizio a respirare più velocemente.
Voglio uscire da qui e in fretta.

Chiediamo informazioni a un medico perché ci indichi la parte di Day Hospital del reparto di NeuroPsichiatriaInfantile (NPI).
Ho scoperto che si divide in due parti: quella di Dh e il reparto (dove vieni ricoverato)....fortunatamente non ci dovrò mai andare, non voglio essere rinchiusa in un corridoio per un mese o quello che è.

Dice di andare nel settore A e che poi da lì troveremo i cartelli.
Ci vogliono solo cinque minuti, dice.
Ci avviamo convinte verso il settore A, nella direzione indicataci dal medico.
Attraversiamo un punto all'aperto e superiamo delle porte scorrevoli.
Ora ci troviamo in una grande sala d'attesa.
Sedie al centro e contro le pareti, indicazioni per reparti con nomi impronunciabili disseminate dappertutto e gli ascensori sulla destra.
Dopo qualche minuto, finalmente, troviamo il cartello che indica NPI, undicesimo piano.
Allora prendiamo l'ascensore, premiamo il pulsante n^11 e iniziamo a salire.
Le porte si aprono: non voglio guardare.
Apro gli occhi lentamente e mi ritrovo in un grande spazio dalle pareti colorate, giocattoli sparsi qui e la e un macabro scheletro, uno di quelli di plastica, che ci fissa da un angolo, le luci spente e le finestre sprangate.
Ci guardiamo intorno.
«c'è nessuno?», evidentemente no perché non riceviamo risposta.
Mi scappa una risata.
È tutto talmente esilarante.
Hanno chiuso il reparto anche qui.
L'hanno abbandonato.
Ricomincio a respirare.
Ma mia madre non si arrende.
Glielo avrebbero detto al telefono se ci fosse stato qualcosa che non andava con il reparto.
E sfortunatamente ha salvato il numero della dottoressa che mi visiterà oggi sul telefono.
Squilla.
Una voce femminile risponde, mia madre spiega dove ci troviamo e come ci siamo arrivate, la voce si mette a ridere e si scusa per l'accaduto, spiegando che non hanno ancora spostato i cartelli per il nuovo reparto: ha cambiato posizione.
Più precisamente nella parte nuova.
Stando al telefono con la dottoressa che ci dice passo passo dove recarci, riusciamo a trovare questo benedetto NPI.
Attraverso la soglia di quel lungo corridoio con un peso sullo stomaco.

"Ciao Marta! Io sono la dottoressa G., piacere!
Finalmente avete trovato il posto! Bene, se vieni un'attimo di là con me inizio a visitarti, poi ti accompagno da Elena e Giovanna (le nostre infermiere di day hospital) che ti faranno fare lo spuntino di metà mattina e, dopo, per le dodici emmezza, quando arrivano anche le altre ragazze, per pranzo. " dice una donna in camice bianco con una chioma di capelli biondi che le ricade sulle spalle e grandi occhiali.
Faccio un rapido cenno di saluto a mia madre ed entro con la donna in bianco in una stanza dotata di lettino, si quelli da ospedale, quelli dove vi sdraiate quando andare dal medico, con la carta sopra, una specie di scottex gigante....si okay avete capito.
Mi tolgo tutti i soliti strati di vestiti e rimango in intimo, guardo la dottoressa: mi sta fissando, non sembra felice di quello che vede.
Mi visita, non dice niente e digita qualcosa alla tastiera di un computer.
Poi afferma che ci sarà bisogno anche di un ecocardiogramma, di un elettrocardiogramma e di un esame del sangue approfondito.
«vado a chiamare Elena così ti preleverà del sangue, tranquilla, non ne prenderà molto e non farà male!» dice per poi uscire dalla stanza.
Alla faccia del "non ne prenderà molto"!!
Cinque fialette! Cinque!
Il sangue viene inviato, per essere esaminato.
Ora tocca all'elettrocardiogramma (ecg), spero sia sotto sforzo...almeno potrò muovermi un po'!
È da quando sono arrivata che mi hanno segregata su questo lettino.
Ma niente può andare nel verso giusto oggi è quindi l'infermiera non tira fuori nessun cubo su cui salire e scendere e non mi fa alzare dal lettino.
Ha portato nella stanza il macchinario, mi spiega che è a 12 derivazioni e serve a rilevare l'attività elettrica del cuore, rilevato sulla superficie corporea.
Applica sei elettrodi sulla parte superiore del torace, due sui polsi (uno per polso) e due sulle caviglie (uno per caviglia).
Mi raccomanda di stare immobile, rilassarmi e respirare normalmente.
Un foglio viene stampato dalla macchina e l'infermiera esce con aria di disappunto.
Dirmi cosa sta succedendo no eh?!?
Ho passato i cinque minuti successivi, sdraiata su quel lettino, a guardare il soffitto e a pensare a quanto fosse infinitamente bianco.
Uno di quelli bianchi che ti accecano.
Quelli che ti fa male guardare perché, anche se ti sforzi, non ci vedrai mai niente.
Perché sai che non riuscirai mai a far parte di qualcosa di talmente puro e senza imperfezioni.
Solo bianco.
Semplice bianco senza fine.
Vorrei potermici dentro e scomparire.
Questo posto mi fa paura, lo ammetto.
Sono in una stanza di ospedale, con i miei genitori chissà dove a firmare chissà quali documenti, e con accanto un cassetto pieno zeppo di aghi.
Ho sempre avuto paura degli aghi.
È solo il terzo prelievo del sangue che faccio nella mia vita.
Ma oggi è andata molto meglio delle altre volte.
Non ho urlato ne cercato di scappare.
Mi è solo scappato un gemito quando ho percepito l'ago che penetrava nella pelle.
Comunque di farne altri, di prelievi, è fuori discussione. 
Non sono un puntaspilli ne tantomeno una bambola vudù. Non voglio più stare in stanze talmente bianche.
Non voglio più vedere persone in camice bianco.
Non voglio più parlare della mia vita personale a dei completi estranei.
Sono stanca, talmente stanca che...
«Marta, eccomi...»
Oddio è tornata, alzo gli occhi al cielo senza farmi vedere.
La dottoressa bionda mi fissa dalla porta e mi fa cenno di seguirla.
Afferro le scarpe e il maglione rimasti sulla sedia e mi affretto a seguirla.
Usciamo dalla stanza, giriamo a destra, verso la fine del corridoio, superiamo tre porte chiuse e raggiungiamo il vero e proprio spazio dove avviene il Day Hospital.
È una sala abbastanza grande composta da uno spazio con degli orribili divanetti dai colori, quasi flou, improponibili, a destra e sulla sinistra una grande tavolata con una moltitudine di sedie ai lati.
Non vi immaginate uno di quei tavoli in legno massiccio, ricordate che siamo in un ospedale, è in plastica, bianco, con le gambe grigie.
Sembra,in tutto e per tutto,un tavolo da ospedale.
Ad aspettarmi trovo una donna con i capelli corti e marroni che mi guarda con un sorriso e mi invita a sedermi al tavolo dove ci sono quattro fette biscottate e un succo.
Deduco che sia l'altra infermiera del DH: Giovanna.
Infatti si presenta affermando di chiamarsi così.
Dice che ho quindici minuti di tempo per mangiare tutto, ma visto che oggi è il mio primo giorno, e che non ho ancora visto la dietista, se non mangio tutto non mi faranno integrare.
Mi concentro su due punti di ciò che ha detto: «il tuo primo giorno» e «integrare».
«So cosa vuol dire integrare, ma in questo caso vuol dire che se non finisco di mangiare tutto mi farete mangiare altro, magari anche di più?» chiedo sconcertata.
«sono solo degli integratori alimentari, si chiamano ensure , tu ne prendi qualcuno a casa?»mi chiede.
«si ne bevo tre al giorno. Ma non mangio altro in questi giorni»
«ah. Ecco perché sei qui, non che non si veda già dal tuo corpicino...
Comunque prova a mangiare qualcosa okay? Io sono qui in fondo al tavolo nel caso avessi bisogno di me»si gira e inizia a camminare.
«cosa intendi con "il tuo primo giorno"?
Ce ne saranno altri?» chiedo, consapevole di non voler conoscere la risposta.
«oh tesoro! Tranquilla, ci pensiamo dopo...ora, sul serio, non danneggiare ancora le tue condizioni, mangia qualcosa.» si siede in fondo al tavolo e inizia a scrivere con troppa calma su un foglio.
Qualche volta alza lo sguardo e quello mi parla, dice con fare benevolo e triste:«non sai niente di quello che ti aspetta».
Il risultato, alla fine del quarto d'ora, è aver ingerito metà fetta biscottata.
Giovanna ,dalla sua postazione, mi guarda, guarda l'orologio, si alza, guarda il mio piatto e sospira.
Poi butta tutto nel cestino.
«vado a comunicare quello che hai mangiato alla dottoressa G. ,quella che ti ha visitato stamattina. Aspettami qui, okay? Tra poco ti riaccompagno dai tuoi genitori. »
«ma sono neanche cinque metri da qui alla sala d'aspetto, credo proprio di essere in grado di farli da sola senza perdermi. » dico con una lieve rabbia che sento montare dentro di me.
Non sono sotto il vostro controllo.
Non siete i miei genitori, miei insegnanti... niente.
Se non mangio da sola, secondo voi mangio con voi?! Con voi estranei? Con voi estranei che volete solo farmi aumentare e aumentare e aumentare di peso?!
Ma andate tutti al diavolo.
«si, è il protocollo. Stai qui, per favore, arrivo subito, ci vuole solo un minuto.» mi risponde.
Le mie dita iniziano a tamburellare sul tavolo impazienti.
Voglio uscire da qui.
È tutto troppo....chiaro.
Troppo bianco...
Non voglio rimanere qui.
Portatemi via.
Non vedo l'ora che passi il pranzo almeno non dovrò più rimettere piede qui dentro...
«Marta! Vieni con me, cara. Ti accompagno da tua madre così stai un po' con lei okay?» è Giovanna che mi chiama dalla porta.
«okay, arrivo.» rispondo semplicemente.

Quando mangiavo solo nuvoleWhere stories live. Discover now