Da cicerone

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Questa mattina la voglia di andare a scuola è stata praticamente inesistente. Sono in quel maledetto periodo del mese in cui, cavolo, vorrei essere nata uomo e come succede di solito in questi momenti la mia voglia di vivere è pari a zero. No dai, zero no, diciamo che arrivo al massimo al mio venti per cento, forse un po' di più se ripenso al pomeriggio passato con Nathaniel e i gatti randagi di due giorni fa.
​Nonostante però la mia voglia sia inesistente, a scuola ci sono venuta lo stesso, nella speranza che nessuna preside pazza mi chieda di trovare cani scomparsi, perché questa è la volta buona che la mando a stendere, finendo sospesa.

Entro nell'edificio che la campanella deve ancora suonare. La maggior parte dei ragazzi è ancora fuori a fumare, anche se qualcuno che ha deciso di entrare come me c'è: poca gente che chiacchiera vicino agli armadietti.
Mi dirigo come al solito verso il mio, aprendolo e sistemandomi per le lezioni di oggi. Non appena chiudo l'armadietto un uomo si avvicina a me.
​«Signorina, lei è nuova qui?» mi domanda.

Non l'ho mai visto in giro, almeno non fino ad oggi. Potrebbe avere una trentina d'anni, non di più. Il fisico smunto, i capelli neri spettinati sulla testa e un paio di piccoli occhialini tondi, di quelli senza stecchette, poggiati sul naso, davanti agli occhi dal particolare colore viola, dall'aria però alquanto agitata.

«Sì, perché?» chiedo, aggrottando le sopracciglia, non capendo dove quella domanda mi porterà e pregando che non sia un'altra di quelle missioni che solo in questo liceo si trovano.
«Vede... Sono il nuovo professore di storia, sono un po' in ritardo e non conosco per niente l'edificio. Avrei bisogno di qualcuno che me lo faccia visitare.» spiega, sistemandosi meglio gli occhialini sul naso.
​Ogni suo gesto mette agitazione anche a me, è irrequieto, si vede da ogni piccolo movimento, in particolare dalle sue mani che continuano a strofinare convulsamente le dita.

Faccio un sospiro alla scoperta che i miei sospetti erano fondati e pure questa volta che sono nel periodo più odiato dalle donne, mi tocca fare quelle che potrebbero essere definite attività extra, ma specifiche solo del liceo Dolce Amoris.
​«Non credo di essere la persona giusta, anche io sono nel liceo da poco...» cerco di dire, un'ultima chance prima di rassegnarmi all'idea che debba fare qualcos'altro invece che andare in classe, sedermi al mio banco e starmene tranquilla per il resto della lezione.

«La prego. Non mi va di fare una cattiva impressione appena arrivato.» insiste lui, aumentando il movimento delle dita.
Emetto un'altro sospiro. Per quanto mi pare uno senza un minimo di polso, forse è meglio non farmi nemico il mio futuro professore di storia, soprattutto se consideriamo che io e la storia solitamente andiamo poco d'accordo.
«Va bene, credo di poterle indicare almeno i luoghi che conosco.»
​«Grazie, la seguo allora.»

Stringo la cinghia della tracolla, cominciando a camminare. Nemmeno tre settimane fa era Nathaniel a farmi fare il giro della scuola ed ora sono io che lo faccio fare ad un professore. Davvero, questo liceo sta diventando sempre più assurdo.
​Il primo posto in cui vado, quasi ad istinto è la sala delegati. Ormai i miei piedi si muovono da soli verso quella stanza ogni qualvolta non ho una lezione da seguire o qualcosa di effettivo da fare.

Il sorriso radioso del mio ragazzo preferito in questo liceo, mi accoglie come al solito.
«Ciao Vanille!»
«Buongiorno Nathaniel.» gli sorrido di ricambio.
«Chi è il signore con te?» mi chiede, educatamente.
​«È il nuovo professore di storia. - dico - Mi ha chiesto di fargli visitare un po' il liceo, perciò...»

«Oh, piacere. Benvenuto al Dolce Amoris.» lo saluta cordialmente lui, porgendogli la mano.
​«Grazie mille, il piacere è mio.» risponde il prof, stringendogliela.

«Questa è la sala delegati. Se dovesse avere ancora bisogno di aiuto le consiglio di venire qui da Nathaniel è sempre molto disponibile.» dico, rivolgendomi a lui, nonostante sia troppo intenta a fissare il biondo di fronte a me.
«E tu sei sempre troppo gentile Vanille.» mi risponde lui, con un sorriso.
​Improvvisamente mi sento avvampare e, prima che possa accorgersene, faccio dietro front ed esco dalla sala delegati, salutandolo velocemente e mettendo fretta al professore.

I due si salutano nuovamente in modo sbrigativo, dopodiché ricomincio a camminare per i corridoio, con il professore alle calcagna.
Gli mostro le varie aule e principalmente quella dove, almeno fino alla settimana scorsa si svolgeva anche il corso di storia.
​Lui non fa una piega, sta completamente zitto, come fosse muto. L'unica che parla e spiega sono io. Ma insomma non dovrebbe essere il contrario?

Mi dirigo verso l'unico luogo che non gli ho ancora mostrato, ossia il cortile. Rispetto a quando sono arrivata al liceo questa mattina, la gente fuori è diminuita, molte persone sono entrate nell'edificio, pronte per sparpagliarsi nelle varie aule. Tra i pochi rimasti noto i capelli rosso acceso di Castiel. Ha appena buttato a terra la sigaretta, pestandola con il piede, per poi avvicinarsi a noi.

«Ma chi è quello?» domanda, come se avesse visto una persona qualsiasi.
Gli lancio un'occhiataccia, ma il mio muto rimprovero sembra non preoccuparlo per niente.
«Ti presento il nuovo insegnante di storia il professor...?» domando, rivolgendomi a lui, ora che ci penso non si è presentato nemmeno a me.
​«Oh sì, Faraize.» dice facendo lui il primo gesto, questa volta, di porgere la mano.

«Gli sto facendo visitare un po' il liceo.» continuo, mentre il professore rimane con la mano sospesa per aria.
La maleducazione di Castiel è evidente anni luce, ma d'altronde è il suo carattere e sicuramente anche il professor Faraize, imparerà a conoscerlo.
​Ora però, abbassa la mano, scoraggiato, ricominciando a muovere nervosamente le dita.

«Questo è il cortile. Le consiglio di non venire se non vuole fare cattivi incontri...» dico.
Anche questa volta non guardo il professore, ma il diretto interessato, alzando leggermente il sopracciglio per fargli capire cosa ho sottinteso nella frase.
«Stai per caso parlando di me, ragazzina?» domanda lui, trattenendo una leggera risata.
Alzò le spalle, come non m'importasse della sua reazione o anche solo di dargli una risposta, accennando appena un:
«Può darsi...»
​Lui ride di nuovo, scuotendo la testa e allontanandosi da noi.

Lo porto infine alla palestra e al giardino, descrivendogli brevemente le attività extra curricolari che noi studenti pratichiamo il martedì pomeriggio.
Alla fine del giro ci ritroviamo nuovamente al corridoio.
«Grazie mille signorina. È stata davvero gentilissima.» mi dice con un sorriso, il suo nervosismo, per fortuna, sembra passato, almeno per ora.
«Si figuri, di nulla.»
«Sicuramente, quando ne avrò occasione le renderò il favore.» dice, per poi salutarmi e andarsene.
​Lo saluto di ricambio, pensando tra me e me che se davvero vuole ricambiare il favore dovrebbe aiutarmi nella sua materia e darmi bei voti, vista la mia pessima inclinazione a storia.

Scuoto la testa, emettendo un sospiro. Si spera che ora possa andare a sedermi in classe e non muovermi più fino alla lezione successiva.

Qualcuno, però, decide di arrivarmi addosso a tutta velocità.
«Ahia!» mi lamento, portandomi una mano alla spalla che è stata colpita e voltandomi verso la persona.
«Ehi! Stai un po' attenta a dove cammini?» dice quella, è una ragazza.
​«Cosa?! Sei tu che mi sei venuta addosso!» protesto, ma subito dopo rimango quasi incantata.

Lo stile di questa ragazza è meraviglioso, cavolo come ho fatto a non notarla in tre settimane di lezione? Quello stile vittoriano le dona un sacco, per non parlare dei lunghi capelli platinati, quasi bianchi e di quegli occhi ambrati da donna pantera. Lei e la tipica ragazza che, fossi nata lesbica, ci avrei provato all'istante.

«Scusa, - mi risponde lei - vado un po' di fretta. Ho un appuntamento con il mio ragazzo prima dell'inizio delle lezioni.» spiega velocemente.
Storco le labbra. Perché la parola ragazzo mi irrita ancora così tanto? Possibile che non abbia ancora dimenticato Lucien? Oppure semplicemente vorrei trovare anche io un ragazzo?
«È qualcuno del liceo?» dico, per zittire i miei pensieri, più che per curiosità vera e propria.
​Lei sorride divertita.

«No, non frequenta il liceo, quindi dubito che tu possa conoscerlo. Comunque io sono Rosalya.»
«Piacere, Vanille.» rispondo io, ricambiando la presentazione.
«Che bel nome!» dice entusiasta lei, mentre vedo chiaramente i suoi occhi illuminarsi.
Arrossisco un po', lo percepisco dal calore nelle guance.
«Grazie...» dico a mezza voce.

«Scusami ancora per averti spinta! Ci vediamo presto!» dice, per poi allontanarsi, senza darmi nemmeno il tempo di risponderle.
​«A presto.» rispondo appena, sicura che non mi abbia sentito, mentre la osservo allontanarsi seguendo la sua chioma lunghissima che ondeggia al ritmo della sua corsa.

Il mio dolce CupcakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora