Prologo

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Alba, da qualche parte nei pressi di Anvy

L'alba era cominciata da pochi istanti eppure i primi, timidi, raggi di sole già tingevano il paesaggio, sfumando di un lieve rosato le cime degli abeti e i tetti delle case del borgo, che facevano capolino in fondo alla valle. Solo qualche nuvola spezzava l'altrimenti impeccabile tela cerulea, donando, a chi vi si trovava immerso, l'impressione di camminare dentro la maestosa opera di un'artista dei colori.

Il nano era tra quei fortunati e da alcuni secondi osservava il cielo, soffermandosi incantato sulla forma morbida dei cumulonembi, sospesi all'orizzonte come sognanti vascelli di vapore. Con lo sguardo ancora sollevato, Dad ispirò a pieni polmoni il sentore di muschio e terra umida del bosco intorno a lui, così familiare da strappargli un sospiro di malinconia. Gli sarebbe mancato quell'aroma così come, ne era certo, avrebbe sofferto dell'assenza della cima che era stata casa sua fino a quel momento, e che si era fatta via via più piccola alle sue spalle mentre percorreva il sentiero sterrato e irregolare.

Nonostante la leggera tristezza però, il suo passo riprese sicuro e lui discese il dolce declivio con il cuore colmo di aspettativa per il viaggio. L'intera Irvania d'altronde si stendeva davanti ai suoi occhi, pregna del sapore inebriante dell'ignoto, affascinante e spaventosa al contempo. A ogni passo, il borgo in fondo alla valle si faceva più vicino, e già il nano era in grado di intuire il profilo del Drago d'Argento che correva ai suoi margini, limpido e scintillante nel chiarore del mattino. Oltre, le Ali del Padre si stagliavano nitide tra le nuvole, incombendo con fare protettivo sulle guglie della città di Riverwood, che il nano riusciva a scorgere anche a grande distanza sopra gli alberi e le basse case del villaggio.

Nel tenue rosato del cielo, Dad si trovò a trattenere il respiro, senza sapere se il suo turbamento dipendesse interamente dall'emozione suscitata dal paesaggio, immerso nelle luci dell'alba, o se c'entrasse in parte quel velo di agitazione che sentiva fremere sotto la pelle e accelerare il suo respiro.

Benché avesse vissuto una vita intera nel monastero infatti, in preparazione e in attesa di quel momento, neanche l'addestramento era in grado di trattenere quel timore che condivideva con qualunque viaggiatore si fosse trovato a lasciare un sentiero conosciuto e confortevole, per inoltrarsi verso l'ignoto e l'imprevisto.

D'altro canto, le previsioni su cui si era basata la sua vita fino a quel momento iniziavano ad essere sempre meno valide a ogni nuovo passo compiuto verso la valle, e lasciavano il posto al brivido della scoperta e, purtroppo, anche al timore del fallimento.

Ciò nonostante, Dad continuava la sua discesa mettendo un piede avanti all'altro, sapendo che solo così, la Verità si sarebbe rivelata davanti ai suoi occhi in ogni più piccola sfumatura.


***

Metà mattina, Porto di Anvy.

La giovane figura si agitava nervosamente, benché facesse di tutto per non dare a vedere la sua preoccupazione. Il berretto sgualcito calato sugli occhi, percorreva avanti e indietro la passerella del molo con lo sguardo abbassato e le mani infilate mollemente nelle larghe tasche delle braghe; fingeva di osservare le barche in partenza e, di tanto in tanto, schivava qualche marinaio in transito, al quale era costretta a cedere il passo per non venir urtata.

Celata sotto le vesti da semplice mozzo, la figura si sentiva osservata, e nonostante le fosse ben noto il motivo, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di essere in trappola. O forse era proprio perché ne conosceva il motivo, che quella spiacevole certezza non riusciva ad abbandonarla.

Neanche lì infatti, in piedi davanti alla vasta e scintillante superficie del Drago d'Argento, poteva dire di essere libera, anche se sentiva l'aria tiepida e rassicurante che soffiava da nord lambirle periodicamente la pelle scoperta delle braccia, e lenire il fastidio della pesante fasciatura che teneva celata sotto il cotone della camiciola slargata.

In piedi sul molo, a solo una manciata di ore dalla partenza, la figura si sentiva a un passo dal lambire con mano il suo più grande desiderio, con la consapevolezza però che non fosse mai stato così inafferrabile e remoto.

Lo spazio tra lei e i suoi osservatori non era che un'illusione, questo la figura lo sapeva bene, un tentativo di tenerla quieta facendole respirare ciò che tanto bramava, eppure non riusciva a impedirsi di chiudere periodicamente gli occhi e immaginare di essere realmente ciò che stava impersonando: un mozzo qualunque, pronto a imbarcarsi sulla prima nave in partenza per sfuggire al tedio della sua città natale, e a vedere finalmente il mondo in ogni sua più intrigante sfumatura.

Poi però un asse alle sue spalle scricchiolava, un colpo di tosse quasi casuale la ridestava dalla sua dolce illusione, e la realtà della sua situazione tornava a travolgerla, spietata e dolorosa più di prima: era in trappola e lo sarebbe sempre stata; ciò che cambiava, da quel momento in poi, era che presto avrebbe conosciuto il suo nuovo carceriere.

Quel destino incombeva sulla figura, e l'avrebbe sciacciata se solo ella non fosse stata temprata da una vita di ribellione e dissenso.

La stessa tenacia che le aveva causato quella punizione, la spinse anche a continuare a percorrere il molo solo all'apparenza con casualità, ma con occhi attenti, e vigili; finché finalmente il suo sguardo non individuò un corto ferro da carpentiere posato su una botte, e un piccolo moto di speranza le invase il petto.

Conscia degli occhi che la osservavano continuamente, la figura attese il passaggio di un gruppo di marinai carichi di casse, e quando per un secondo la loro mole la celarono dagli sguardi, in un attimo fece scivolare il ferro tra le pieghe della camicia, prima di riprendere a osservare il mare con il cuore in tumulto ma un'apparente malinconia.

Nel sangue e nel fuoco - Cronache di Irvania IIWhere stories live. Discover now