3. Perdono

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Massaggiandosi il didietro, Jack si sollevò in aria, stringendo il bastone, e si diresse di nuovo verso il fiordo.
Volò per ore, tra le nuvole bianche e filamentose del cielo azzurro e terso di quella meravigliosa primavera.
Il sole gli sorrideva attraverso le nuvole e la luna lo osservava silente.
Impiegò diverse ore per ritrovare il castello, non si era reso conto di quanto si fosse allontanato.
Quando arrivò, il cielo iniziava già a colorarsi dei colori del tramonto: uno spettacolo mozzafiato per gli occhi di Jack, che però non bastò a dare un po' di sollievo al suo cuore colpevole.
Quel che restava delle finestre erano dei grossi frammenti di vetro tagliente, ancora intrisi del suo ghiaccio.
Entrò.
Le schegge sul pavimento erano state raccolte, ma nei corridoi non c'era anima viva. Camminò, sbirciando nelle stanze per trovare quella regina.
-Spero solo di non aver combinato un disastro irreparabile ...
Finalmente trovò la stanza che cercava.
La donna era nel suo letto, ma non stava dormendo: stava seduta, con le coperte sulle gambe e guardava fuori, come a voler continuare quell'atto di contemplazione che Jack aveva bruscamente interrotto.
Sembrava annoiata, con molta probabilità l'avevano obbligata a rimanere a letto, per riprendersi dallo shock e per riposare, viste le sue condizioni.
Jack si avvicinò al letto, posò il bastone e fece un inchino.
-Vostra Altezza ... sono venuto a chiedere perdono per ciò che vi ho fatto ...
La regina continuava a guardare fuori, ignara del fatto che ci fosse un ragazzo in piedi accanto al suo letto.
Sul viso aveva qualche lieve graffio, ma comunque niente di grave.
Jack fece un sospiro di sollievo.
-Posso entrare?
Dalla porta si affacciò un uomo, che indossava abiti da cerimonia, decorati da ricami dorati e mostrine di vario genere: era il re, di ritorno da qualche impegno diplomatico lontano dal regno.
Si sedette sul letto accanto alla moglie e le prese le mani.
-Ho saputo cos'è successo.
-Tranquillo, non mi sono fatta niente. I domestici tendono sempre ad esagerare, e anche il medico.
Iniziarono a parlare delle rispettive giornate, scherzando sui fatti di politica estera e sui fatti del castello.
Lui le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé, mentre con l'altra mano le accarezzava il ventre tondo, coperto da una leggera sopravveste ricamata con delicati arabeschi.
-Dobbiamo scegliere il nome del nostro primogenito.
-Ludwig se è maschio, Elsa se è femmina. Che ne pensi?- chiese lei, gli occhi brillavano per l'emozione.
-Sono dei nomi meravigliosi, non avresti potuto scegliere meglio.- rispose lui, rivolgendole uno sguardo carico di dolcezza e amore.
La avvicinò a sé e la baciò, stringendola come se temesse di perderla.
Jack aveva osservato la scena, intenerito dai loro gesti e dai loro sguardi.
-Chissà se i miei genitori si amavano come loro ...
Adesso anche lui era incuriosito: sarebbe stato un bambino o una bambina l'erede di quel regno?
Jack riusciva quasi a sentire sulla pelle, nell'aria, i sentimenti e le emozioni che sconvolgevano i cuori di quei due genitori in attesa del loro primo figlio.
Era felice per loro.
-Credo proprio che tornerò a vedere vostro figlio, potrei anche fargli compagnia- disse sorridendo Jack, mentre riprendeva in mano il suo bastone.
Si avvicinò ai sovrani e diede una pacca sulla spalla del re, come se fosse stato un suo grande amico.
Con mano un po' incerta e tremante, Jack sfiorò con la punta delle dita il ventre della regina.
-Ci vediamo presto, piccolo ...

Le cose che non diciWhere stories live. Discover now