Capitolo 8

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Lottan, subito dopo aver terminato il colloquio con il signor Deper, aveva lasciato un messaggio in segretaria all'ufficio della procuratrice dicendo che ci sarebbe voluto più del dovuto per cavare qualcosa fuori dalla bocca di Deper dato che nel primo incontro lui si era dimostrato completamente ostile.

Secondo incontro dello psicologo Dave Lottan con il signor Deper in data 8 novembre 2040

Appena Deper si siede davanti a Lottan dice: "Sia chiaro che questa volta non le urlo contro solo perché il mio avvocato ha detto che non servirebbe a nulla e che, anzi, sembrerei ancora più colpevole di quanto già voi non pensiate che sia"
"Bene" risponde Lottan con sguardo leggermente compassionevole e con una calma da far invidia. Lottan era capace di essere così tranquillo solo con i suoi pazienti. Quando parlava con le persone normalmente, e non da psicologo, perdeva il controllo molto più facilmente soprattutto se si toccavano argomenti come la validità del suo lavoro e la sua efficienza in esso. Sembrava che, ogni volta che entrasse nel suo ufficio, si calmasse istantaneamente, e in effetti era proprio così che si sentiva dato che varcare la porta di quella stanza lo rilassava. Quello era il suo mondo, in cui lui era il re e in cui poteva comandare anche solo rimanendo seduto e tranquillo.
"Ma sappia che io risponderò solo alle domande a cui mi piacerà rispondere"
Mentre Deper dice quelle parole incrocia le braccia al petto e sprofonda nella poltroncina sulla quale si è seduto.
"Va bene... allora mi parli un po' della sua famiglia, del suo lavoro..."
Lottan gli rivolge un sorriso sincero.
"Ma che domanda è questa?" chiede Deper con l'impertinenza che ha appena promesso di non usare.
"Signor Deper io non sono qui per le farle un interrogatorio, voglio solo parlare con lei di qualsiasi cosa le vada di parlare"
"A me non va di parlare proprio di niente"
"Va bene"
"Ma come 'va bene'? Che cosa sta a fare allora lei? Allora mi metto anche io a fare lo psicologo: vengo pagato e non faccio niente tutto il giorno!"
"Signor Deper, anche rimanere in silenzio non è tempo sprecato nel mio lavoro, infatti talvolta il silenzio vale più di mille parole"
Deper si zittisce, non sa cosa rispondere, ciò che ha detto lo psichiatra-psicologo lo ha lasciato senza parole.
Il silenzio vale più di mille parole.
Era una delle frasi che aveva pensato molte volte quando Leslie rimaneva in silenzio ogni volta che lui le chiedeva se aveva fatto qualche marachella da piccola, se si era ubriacata, se aveva fumato... Leslie non gli rispondeva mai da quando lui le aveva fatto il cazziatone la prima volta che l'aveva beccata ubriaca. Lo guardava e, quando lui aveva finito di sgridarla, se ne andava in camera sua, aveva anche smesso di sbattere la porta qualche mese prima che se ne andasse di casa. Da quel momento non aveva quasi più parlato con lei. Se non per arrabbiarsi quando Leslie gli aveva detto che lavoro aveva iniziato a fare. Lei aveva bussato alla porta, gli aveva fatto vedere un foglio in cui c'era scritto che era stata presa a fare l'impiegata e poi se n'era andata dopo aver detto con voce impassibile: "Visto che non sono completamente inutile?"
Deper gli aveva urlato, mentre lei varcava la porta del cancello: "Sì che sei inutile perché il tuo lavoro è inutile proprio come te! Sfaticata!"
Lei non aveva replicato. Lui si era innervosito e si era sbattuto la porta di casa alle spalle. E, ancora una volta, quel silenzio aveva significato tanto. Leslie aveva dimostrato più di una volta che non gliene fregava più niente di suo padre. Ammettere che ci era rimasto male era troppo per lui, quindi ogni volta che si ricordava di quell'episodio si ripeteva nella testa: "Quella là è proprio una sfaticata"
Ma in questo momento Deper non può dirselo un'altra volta perché Leslie non c'è più. Al massimo potrebbe dire che era una sfaticata. Così, sotto lo sguardo dello psicologo, Evan Deper si mette le mani nei capelli e guarda il soffitto. Si stupisce di se stesso quando sente il suo viso diventare caldo, non perché si sta arrabbiando, ma perché gli sta venendo da piangere per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo. L'ultima volta che aveva sentito quella sensazione di bruciore agli occhi era stata quando Leslie era nata, anche se quelle erano state lacrime di gioia che non aveva dovuto reprimere. Quel pizzicore che ha appena invaso la parte alta del suo viso lo ha fatto tornare alla realtà. Non può piangere di fronte a quel coglione dello psicologo. Non si può mostrare debole di fronte a se stesso, figuriamoci di fronte a uno sconosciuto che sta lì solo per giudicarlo.
Lottan, senza proferire parola, ha già capito tutto quello che sta succedendo nella testa di quel testardo di Evan Deper. E sa anche che è meglio che quando il suo paziente tornerà alla realtà, non si senta osservato perché se no potrebbe fare un'altra scenata e, va bene che Lottan viene pagato comunque per il suo lavoro e quindi non gli dovrebbe interessare se Deper reagisce ancora come è successo poco prima, ma anche a Lottan interessa risolvere questo caso. E sta già pensando che il signor Deper non sia il colpevole, ma che possa aiutarlo a trovare il vero assassino. Ma prima di dirlo alla procuratrice deve ancora fare qualche seduta con Evan per escluderlo con buona certezza dalla lista dei sospettati.
"E quindi lei rimane qui a guardarmi e basta ed è in grado di indovinare i miei pensieri?"
"No, non sono un indovino, la mia professione si basa in parte sulla scienza e in parte sul parere personale"
"Ok, e se volessi parlare di lei?" Deper si accarezza il mento e fissa Lottan con sguardo di sfida.
"Di me? Le interessa conoscere la mia vita?" Dave è un po' sorpreso dalla domanda del signor Deper sia per il fatto che non si aspettava che Evan volesse parlare di ciò sia non si aspettava che Deper proponesse un argomento di cui discutere.
"Sì, è proprio quello che intendevo"
"Va bene, a patto che lei esprima le sue opinioni sulla mia vita e non faccia solo domande"
"Affare fatto" esclama Evan entusiasta, non si sentiva così da tanto tempo. Il suo umore si era incupito da quando Leslie aveva iniziato a crescere.
"Allora signor Lottan ha figli?"
"No"
"Come lei sa io ho, o meglio avevo, una sola figlia, le piace il nome Leslie?" chiede Deper con gli occhi che brillano per l'emozione, la sua sembra una di quelle espressioni che fanno i bambini quando sono sia molto felici sia molto tristi, ma non si accorgono del loro lato triste.
"Sì, è un nome carino"
"L'abbiamo scelto io e mia moglie dopo aver saputo che sarebbe nata una femmina, anche io ero un po' scettico all'inizio, ma poi ho lasciato scegliere ad Angie"
"Ve l'aspettavate?"
"Qui sono io che faccio le domande"
Deper si incupisce mentre pronuncia quella frase.
"Ok" risponde Lottan alzando le mani in segno di resa.
"Ha una compagna o una moglie o una fidanzata?"
"No"
"Come mai?"
"Non ne sento il bisogno"
"Perché? Io ho sempre voluto avere una famiglia, certo non me l'aspettavo che sarebbe stato così però... forse ha fatto bene a scegliere di non avere una famiglia, è complicato"
Deper si gratta la testa come se stesse pensando a qualcosa che si pente di aver fatto. Entrambi rimangono in silenzio e sembra che nella stanza non voli una mosca.
Infine Deper annuncia l'ultima domanda perché ormai il tempo stringe e tra poco Lottan avrà un altro paziente: "Perché ha scelto questa professione?"
"Beh è complicato... ho iniziato a studiare tutt'altro, ovvero le materie più prettamente scientifiche, ma poi mi sono reso conto che non mi piaceva. Solo dopo che è venuta una psicologa a scuola a parlarci del suo lavoro ho capito che quello che lei faceva mi interessava"

L'ultima VittimaWhere stories live. Discover now