48. Complicato

783 46 0
                                    

Appena tornata a casa, mia madre -come sempre dopo una gita- non fece altro che abbracciarmi e sorridermi. Tanto poi sapevo che il giorno dopo invece di coccole, sorrisi e abbracci avrei preso solo urli e ciabatte addosso.

Mia sorella mi disse che aveva un casino di cose da raccontarmi. <<Tra cui anche il fraintendimento di Max>>. Come mi ero aspettata.

Francesco, invece, per fare il simpatico mi chiese: <<Ah, perché sei andata in gita?>>. O forse davvero non se ne era accorto. Certo volte è difficile capirlo.

Una sera, visto che il giorno dopo sarebbe stato sabato, Giada mi videochiamò. Erano passati tre giorni dalla gita. Le raccontai di tutto ciò che era successo durante quei giorni di gita, inclusa quella sera al locale e la mattina dopo. Tutto per filo e per segno. Non tralasciai nemmeno tutti gli scleri del prof per West e lei rise davvero tanto.

Quando le dissi cosa mi aveva detto Thomas prima di andarsene dalla terrazza iniziò a saltellare per tutta la stanza gridando di gioia cose senza senso.

Poi, ci fu il momento in cui mi fece quella domanda che tanto temevo. <<E tu? Lo ami?>>

Da quando mi disse quelle due parole ci avevo pensato. Avevo passato altre notti bianche a guardare il soffitto di camera e pensarci. Ma il problema era che io non sapevo cosa significasse innamorarsi. Avevo pensato di saperlo, invece non lo avevo mai davvero saputo.

Quella sera, infatti, non seppi rispondere alla mia migliore amica. D'altronde non sapevo nemmeno rispondere a me stessa.

Il lunedì successivo tornai a scuola, come tutti gli altri giorni. Finché suonò la prima campanella della quarta ora e uscì la squadra di basket dalla palestra, non avevo in programma nessun tipo di riappacificamento. Poi, incontrai nel corridoio lo sguardo di Pietro che veniva verso di me.

Chiusi l'armadietto nell'esatto momento in cui mi raggiunse. Mi voltai verso di lui guardando in alto, per via della sua estrema altezza.

<<Dobbiamo parlare>>, mi disse con espressione seria.

Mi tornò a mente l'ultima volta che ci eravamo parlati. Ero stata io stessa ad andare da lui e pronunciai quella stessa frase, eppure lui non mi volle ascoltare.

Mi morsi il labbro esitando sul rispondere e lui capì subito a cosa stessi pensando.

<<Sam...>>
<<L'ultima volta tu non mi hai voluta ascoltare>>
<<Lo so, sono stato un coglione. Ma ho paura che tu prenda male il motivo per cui...>>

Lo interruppi troppo stanca di non aver ancora chiarito quella faccenda.
<<Perché dovrei prendere male il fatto che stai assieme in segreto con Clarissa?>> Feci una pausa <<Si, non andiamo molto d'accordo, ma sono affari tuoi. Ceh, è la tua vita. Non posso decidere io per te>>

Per tutto il tempo in cui pronunciai quelle parole restò a guardarmi perplesso, come se avesse appena visto un fantasma.

<<Aspetta, come fai a sapere...?>>, e si bloccò restando a guardarmi perplesso.

Sospirai e tirai fuori un piccolo sorriso per la sua lentezza nel collegare le cose. <<Pietro, siamo nel ventunesimo secolo, tutto prima o poi si viene a sapere>>

Fece un piccolo sorriso divertito, ma poi tornò serio. <<Quindi non sei incazzata?>>

Scossi la testa iniziando a camminare verso la macchinetta.

<<Nemmeno un po'?>>

<<Se continui a chiedermelo non sarà solo un nemmeno un po'?>>

PROBLEMWhere stories live. Discover now