8. Nathan: Cicatrici dell'anima

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Prima di andare a pranzo passai in camera mia a farmi una doccia. Per tutta la mattinata non avevo trovato Ary da nessuna parte. Era come se si fosse volatilizzata. Poi Abby era sbucata fuori dal nulla e avevo passato il resto del tempo a nascondermi da lei.
Appena uscito dalla doccia, con il vapore che impregnava la piccola stanza.
Passai una mano sullo specchio appannato, in modo da potermi vedere.
La mia immagine mi restituiva lo sguardo. Uno sguardo che pensavo non fosse più mio da molto tempo.
A nessuno sarebbe piaciuto qualcuno così.
Mi stampai in faccia il mio solito sorriso.
Scorsi l'immagine sul mio corpo privo delle cicatrici del passato. Eppure le sentivo tutte. In qualche modo le avevo memorizzate e ricordavo alla perfezione come me le ero fatte.
La maggior parte di esse esistevano da prima che arrivassi alla B.L.C.
Un bambino non avrebbe mai dovuto avere tutti quei difetti. Non avrebbe dovuto avere subito così tanta violenza. Eppure il mio corpo dimostrava quanto potessero essere crudeli le persone. La B.L.C. aveva deciso di cancellarmi tutte quelle imperfezioni, come se il dolore sarebbe scomparso magicamente una volta applicato il loro incantesimo guaritore.
Poi c'erano le cicatrici per l'addestramento degli Iniziati. Quelli ottenuti col sudore e la fatica. Quelli ottenuti dal bisogno di migliorarsi. Quelli di cui potevo andare orgoglioso. Quelli che condividevo con Ary. Ma anche quelli vennero cancellati.
L'ultima cicatrice, di cui ho un ricordo ancora vivido e di cui mi volevo dimenticare, rappresentava il mio ultimo scontro contro Twain.
Quasi mi rivedevo ancora, riverso a terra e ricoperto del mio stesso sangue. Del bruciore che sentivo in ogni parte del mio corpo. Dei buchi e delle ossa rotte. Avevo creduto di morire e credevo anche di meritarmelo.
Se James non fosse arrivato in tempo forse sarei veramente morto.
Mi riscossi dal ricordo e mi appoggiai una mano sulla spalla, lì dove era arrivato il primo colpo.
Dallo specchio non si vedeva niente di cosa c'era dentro di me. La mia pelle era liscia al tatto e uniforme alla vista. Niente cicatrici visibili.
«Naaaaaate!» esclamò la voce inconfondibile di Abby fuori dalla porta di camera mia.
Alzai gli occhi al cielo.
Uscii dal bagno.
Abbastanza seccato aprii la porta di camera mia, ritrovandomi Abby con un espressione imbronciata. Poi il suo sguardo cascò sotto i miei occhi.
Seguii il suo sguardo e mi accorsi di non avere niente addosso eccetto uno stupido asciugamano.
Non sapevo che avesse tanto da guardare. Mi aveva visto nudo parecchie volte quando eravamo piccoli. Probabilmente sapeva anche dove si trovavano i miei nei.
«Che ci fai qui?» le chiesi senza tanti giri di parole.
Lei mise il broncio per via della mia risposta secca.
«Papà mi ha cercata.» disse entrando in camera.
Mi irrigidii.
«Ti ho detto che non voglio più avere niente a che fare con lui, perché me ne parli?» commentai infilandomi nella cabina armadio.
«Mi ha chiesto di te.» disse Abby.
«Pura cortesia. È stato nostro padre per soli tre anni, non vedo come possiamo mancargli. Sicuramente vuole qualcosa anche questa volta. Lascia perdere Abby.» mi vestii in fretta, afferrando casualmente i vestiti da indossare.
«Ma sono stati la nostra infanzia, Nate... Io non...»
«Basta così, Abby. Se volevi rimanere con quell'uomo tanto valeva che non mi seguissi fino alla B.L.C. Sai benissimo che era solo te che volevano.» dissi uscendo dalla piccola cabina.
«Perché fai così con me, Nate? Con le altre sei sempre sorridente e carino! Cosa ti costa essere gentile anche con me?» sbuffò la ragazza.
«Non cominciare di nuovo, Abby.» sospirai.
Abby avanzò verso di me e mi bloccò contro l'armadio, spalmandosi su di me.
Le sue mani mi scorsero sul petto e salirono lentamente sulle spalle.
«Lo sai che ti amo, Nate. Era ovvio che ti avrei seguita.» sussurrò. Appoggiò la fronte contro il mio petto.
«Il tuo nome è ancora nel testamento di papà, Nate. È per questo che mi ha contattata.» Abby si mise in punta di piedi e mi parlò a pochi centimetri dalle mie labbra.
«E quindi? Può benissimo togliere il mio nome. Non sono più suo figlio.»
«Puoi tornare ad esserlo.»
Afferrai Abby per le spalle e la allontanai bruscamente da me.
«Non ci tengo.»
«E invece sì che ci tieni. Ricordo quanto eri felice quando hai scoperto che eravamo stati entrambi adottati e a quanto ti piacesse avere finalmente un cognome. Sono rimasta in contatto con nostro padre in tutti questi anni per te. Sai quanto ci ho messo a convincerlo che valeva la pena averti come figlio?» insistette Abby abbracciandomi da dietro.
«Tutto quel che faccio è per te, Nate!» insistette.
«Abby, non ho più bisogno di quell'uomo da tanto tempo. Non ne ho mai avuto bisogno. Se è per il cognome, non ho problemi a sbarazzarmene non appena sarò diventato maggiorenne.
Ti aggrappi al passato, ma io sto cercando di dimenticarlo. Per favore non rivangare certi ricordi. Mi disgustano. Ed è anche perché tu sei una parte del mio passato che non posso accettare quel che provi per me.» mi sciolsi dal suo abbraccio.
Quando mi voltai la trovai in lacrime.
Avrei dovuto provare pena per lei. Avrei dovuto dispiacermi. Ma in realtà non ci riuscivo.
«Mi detesti così tanto?» chiese con un filo di voce.
«Non detesto te.» Detesto quello che mi è successo.
Abby si asciugò gli occhi con entrambe le mani.
«Sai. Lei non ti capirebbe. Non capirà mai quel che sei veramente e non lo accetterà mai. Io posso farlo perché sono cresciuta con il vero te, ma lei...
Ha scorto solo una parte di quello hai dentro quando siamo arrivati alla B.L.C. e le è bastato a farti odiare fino ad ora. Capisci?
Lei è l'opposto di quel che sei tu, Nate.
Se sei veramente innamorato di lei, per il tuo e il suo bene, dovresti starle lontano.» mi disse.
«Ary non è quel che pensi, Abby.» dissi senza guardarla. Le sue parole erano vere, ma semplicemente non potevo rinunciare all'unico sentimento positivo che riuscivo a provare. Se ci avessi rinunciato, non sarei più riuscito a portare la maschera.
«È ora di andare a mangiare.» cambiai discorso uscendo dalla stanza.
«Non vieni?» le chiesi.
Abby rimaneva in silenzio.
«Anche io non rinuncio a te, Nate. Come tu non rinunci a lei, io non lo farò con te. Sono certa che ti ferirà, Nate, e quando lo farà voglio ricordarti che io ci sono sempre. Sono io quella che non si è mai separata da te e che ti è sempre stata affianco.» disse a schiena dritta e con l'orgoglio ancora negli occhi. Poi mi superò di corsa e se ne andò via.

Elements: RimastaWhere stories live. Discover now