Galassia di Atri

293 29 9
                                    

La nave spaziale su cui stavano viaggiando C32 e Veth aveva portato a termine con successo il salto nell'iperspazio che li aveva condotti nella Galassia di Atri, dove era collocato il pianeta dell'androide. Il ragazzo si trovava ancora in quella specie di salottino. Era uscito dalla piscina in cui era caduto in seguito allo schiaffo dell'androide. I suoi abiti ed i suoi capelli erano completamente fradici. Si sfilò la tuta nella speranza di riuscire ad asciugarla in qualche modo, prima di raggiungere il pianeta.
Aveva anche provato ad avvicinare i vestiti al fuoco del camino presente in quella stanza, prima di scoprire che la fiamma era solo olografica e il suo scopo puramente decorativo. L'unica cosa che bruciava al momento in quella stanza era la sua guancia, rossa nel punto in cui era stata colpita dalla mano dell'androide. Non era stata sua intenzione offenderla. A modo suo stava cercando di farle un complimento e non credeva che se la sarebbe presa tanto per un commento sulle sue forme. Trovava incredibile che qualcuno dotato di un aspetto complessivo così straordinariamente perfetto e meraviglioso potesse prendersela per una cosa del genere. Non lo stava considerando un difetto, non credeva che quel corpo potesse averne, ne stava solo evidenziando le caratteristiche.
Forse era il caso di scusarsi, comunque, sebbene anche l'androide non fosse stata molto gentile a colpirlo in quel modo.
Scosse la testa, mentre si accingeva a rinfilarsi i vestiti ancora umidi, dopo averli strizzati alla meglio nella piscina. A contatto con la sua pelle risultavano fastidiosamente appiccicaticci e si sentiva in un certo senso impedito nei movimenti a causa di quel fastidio. Non era stato molto carino da parte dell'androide lasciarlo solo in quella nave a lui estranea, si domandava dove si trovassero al momento. Sulle pareti non c'erano finestre di alcun tipo, come aveva potuto constatare, per questo non poteva nemmeno passare il tempo ad osservare lo spazio circostante.
Dubitava, tuttavia, che non ci fosse un modo per vedere l'esterno della nave. Era impossibile, infatti, che il pilota viaggiasse alla cieca o che comunque un popolo che sembrava così propenso all'esaltazione della bellezza, si privasse della contemplazione dello spazio aperto. Quella era la parte più piacevole nei viaggi intergalattici che aveva fatto quando si trovava nell'esercito di Fryha.

Al momento comunque non trovava niente di interessante da fare per evitare il senso di noia che stava cominciando a pervaderlo. Avrebbe voluto tornare a osservare da vicino lo strumento musicale, premere tutti i tasti così da divertirsi nel sentire i vari suoni che producevano, cercare di capire il suo funzionamento, ma temeva che il risultato di una tale azione sarebbe stato solo un altro schiaffo, nel caso in cui 32 lo avesse scoperto. Temeva il modo in cui avrebbe potuto reagire l'androide ora che era arrabbiata se avesse provato a toccare una cosa di sua proprietà senza permesso. Trovò, invece, la scelta di andarsi a sedere sul divanetto la più sicura, intanto avrebbe atteso che quel viaggio giungesse al termine, sperando che la noia non lo devastasse nel frattempo.

La regina si era ritirata nella sala dei controlli. Era furente e sapeva che in quei casi stare vicino all'oggetto della sua ira non era affatto opportuno. Detestava quando la si metteva in relazione con la madre ed era proprio quello che Veth aveva fatto, anche se indirettamente. Lo facevano praticamente tutti gli androidi con cui aveva a che fare ogni giorno, perché erano quelli che conoscevano più da vicino la precedente regina e la prendevano sempre come termine di paragone per ogni sua azione, ogni suo comportamento ed ogni suo modo di apparire, ma non poteva tollerare che a farlo fosse anche un essere miseramente più debole e di una razza che considerava inferiore, una razza che a dire il vero non esisteva nemmeno più.

Aveva per questo preferito sedersi sulla comoda poltrona di fronte ai comandi, con il visore sugli occhi, mentre si dedicava a guardare le stelle che sfrecciavano sotto il suo sguardo, lasciandosi dietro lunghe scie luminose, come conseguenza del viaggio nell'iperspazio. Sapeva benissimo che in realtà era la nave a muoversi, e non le stelle, ma descrivere in quel modo nella sua mente ciò che vedeva le sembrava più appropriato e poetico.
Stava riflettendo, intanto, se avvisare o meno i Saggi della presenza di un ospite su Polemos. Era ben consapevole che questi avrebbero voluto esserne a conoscenza, ma sapeva anche che non avrebbero gradito affatto quella decisione e non aveva alcuna voglia di sorbirsi le loro remore e lamentele. Tutto quello che poteva turbare la tranquillità e il meccanismo perfettamente oliato della vita sul loro pianeta, veniva considerato come qualcosa di pericoloso, come un'erbaccia da estirpare subito. Per questo non amavano gli ospiti, che venivano visti solo come una stonatura, un organismo estraneo che non poteva in alcun modo adattarsi a quanto avveniva su Polemos.La scelta migliore sarebbe stata ospitare Veth clandestinamente: finché rimaneva nel castello nessuno avrebbe potuto scoprirlo e quei pochi giorni che gli aveva concesso sarebbero passati in fretta.

PolemosWhere stories live. Discover now