Galassia HXZ-906

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Il tetto a cupola della zona di sosta della stazione spaziale Cittadella si aprì per consentire ad una nave spaziale di grosse dimensioni di fare il suo ingresso. Il rivestimento in metallo era lucido e senza il minimo graffio o l'ombra di un'impronta ad intaccarne la lucentezza. La navicella, infatti, sembrava essere appena uscita dalla fabbrica, nonostante avesse già parecchi anni alle spalle. Era una nave commerciale, adibita al trasporto merci, con uno stemma rosso vermiglio che risaltava al centro del lato destro, raffigurante quello che sembrava un pianeta stilizzato a due anelli sormontato da una corona a tre punte. Tutta quella lucentezza e le dimensioni facevano sfigurare molte altre navi presenti nella stessa zona.


Il portellone si aprì, lasciando che la passerella automatica uscisse fino a raggiungere il terreno. Una figura femminile fece capolino dall'interno della nave, stringendo tra le mani quello che sembrava un piccolo cubo di vetro verde luminescente. Si guardò intorno per esaminare la situazione e poi nascose il cubo in una tasca laterale del suo vestito azzurro chiaro. Mosse i primi passi sulla passerella. I tacchi toccavano il metallo cavo di quest'ultima senza fare il minimo rumore, quasi non venisse effettivamente calpestata, ma la ragazza procedesse camminando su un sottile strato di aria al di sopra della lastra di metallo.


Il parcheggio era affollato di mezzi di trasporto, ma c'erano pochi individui al suoi interno, perlopiù gente che caricava o scaricava quello che avrebbe dovuto vendere o riportare al proprio pianeta di origine; il vero affollamento si sarebbe trovato una volta messo piede fuori dalla zona di sosta.


La ragazza raggiunse l'imponente portellone automatico che si trovava su una delle pareti di quel grande parcheggio, poi mostrò ad uno scanner sferico, incastrato nella parete vicino al portellone, la sua tessera di ammissione. La Cittadella era una zona pacifica e neutrale, all'interno di essa non si poteva avere nessun comportamento bellicoso, né fisico, né verbale, per tale motivo per accedervi bisognava essere riconosciuti come membri validi e quindi accettati. Se non si fosse stati in grado di mantenere quello stato di neutralità o comunque se non si fosse stati ritenuti all'altezza, quella tessera non si sarebbe mai potuta ricevere. Questo era il motivo per cui all'interno di quella stazione spaziale si potevano trovare solo le razze più evolute ed intelligenti e non quelle primitive e caotiche, incapaci di apportare alcun beneficio alla comunità intergalattica.



La chiusura ermetica del portellone si aprì e subito il vociare confusionario della folla raggiunse le orecchie della ragazza. Infilò una mano nella tasca e cominciò a giocherellare con il suo cubo luminoso mentre avanzava verso la zona sud-ovest della stazione, lì avrebbe trovato gli alieni con cui era venuta ad effettuare uno scambio.
 Non le capitava spesso di visitare una galassia così lontana dalla propria e soprattutto non le capitava spesso di vedere così tante razze aliene. La maggior parte della sua vita l'aveva passata sul suo pianeta natale e quello stesso destino le sarebbe dovuto toccare ancora per parecchio tempo prima di poter ottenere la libertà di viaggiare indisturbata. Per questo mentre camminava prestava ben attenzione a chi aveva intorno, cercando di cogliere il più possibile dalle loro conversazioni. Quelle lingue le conosceva già tutte, quindi ascoltare i loro discorsi non si rivelava un grosso problema. Le lingue delle razze avanzate, infatti, erano le più conosciute e diffuse e quindi per lei ed il suo popolo era normale comprenderle; solo nel caso in cui incontrassero un popolo  assai inferiore avevano la necessità di apprendere la lingua, ma anche in quel caso non ci sarebbe voluto più di qualche minuto. Quei discorsi tuttavia non la entusiasmavano: erano prevalentemente contrattazioni o lamentele sui prezzi. 
Molti al suo passaggio si girarono a guardarla ed era abbastanza sicura che non fosse solo per il suo eccentrico colore di capelli, ma perché avevano riconosciuto chi fosse. Nei loro occhi infatti riusciva a scorgere quel velo di paura che si ha quando si osserva qualcuno di potente, che non è una minaccia immediata, ma che potrebbe sempre diventarlo. A lei non interessava granché la ragione di quegli sguardi, né il modo in cui le venivano rivolti; non si poteva nemmeno dire che le dispiacessero, al contrario. Adorava essere al centro dell'attenzione.



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