Capitolo 11

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Io e Alex siamo sedute sul divano da circa un quarto d'ora; stringe le mie mani fra le sue cercando di rassicurarmi e, contemporaneamente, mi guarda aspettando che io dica qualcosa, che spieghi la mia ultima affermazione. I singhiozzi però mi impediscono di parlare. E, anche volendo, non saprei da dove iniziare.

"Cosa è successo?" Mi chiede nuovamente.
"Io..." le lacrime scendono copiose sul mio viso, senza sosta. Provo a parlare ma non ci riesco così faccio un lungo respiro per tranquillizzarmi e comincio a raccontarle tutto, dal teatro alla lite, ogni cosa. Non appena finisco, noto che il suo volto è turbato, anche se lei nega, ormai la conosco bene: vuole disperatamente dire qualcosa ma ha paura di ferire i miei sentimenti.
"Dillo, non avere paura." La incito.
"Dire cosa?!" Mi chiede facendo finta di niente.
"Quello che pensi. Ho bisogno di sentire cosa ne pensi."
"Okay. - Fa una pausa di qualche secondo, si alza e comincia a passeggiare avanti e indietro per poi fermarsi improvvisamente e iniziare a parlare. - Non è paura la tua, o meglio, c'è qualcos'altro. Lui ti piace, me l'hai detto tu stessa e, nonostante questo, preferisci comunque perderlo piuttosto che dirgli tutto quanto."
Lei non sa cosa sta per 'tutto quanto', mai saputo. Sa che c'è qualcosa che mi porto dietro ma non sa cosa sia e non so se lo verrà mai a sapere.

"Ora: non ho idea di quale sia il fardello che ti porti dietro da quando ci siamo conosciute e tanto meno lo voglio sapere, ma la mia domanda è: sei davvero disposta a perdere un ragazzo come Harry per questa cosa? Da quello che mi hai raccontato è dolce, intelligente, ti tratta come una principessa. - Dice facendomi sorridere. - Ne vale così tanto la pena?"
"Infatti non ne vale la pena. Ma anche volendo lui vuole sapere la verità e io non sono pronta a dirgliela. Lo so che significa perderlo per sempre ma lo perderei ugualmente se glielo dicessi. Meglio ora che prima che sia troppo tardi." Concludo.
"Con 'troppo tardi' intendi prima di innamorartene? Perché... mi sa che sei già su quella strada." Mi dice.
Io rimango scioccata. Non ne sono innamorata. Si, è vero, mi piace, non l'ho mai negato ma addirittura innamorata...
"Hai idea di cosa significhi essere 'innamorata'?" Dico sbalordita.
"Io lo so, la domanda è: tu?"
"Ti posso assicurare che lo so. Sono già stata innamorata nella mia vita."
"Ah si?! Vuoi sapere cosa pensi io?"
"Sentiamo dai" dico incrociando le braccia sotto il seno.
"Tu hai paura!" Afferma indicandomi con il dito indice.
"E mi pare che questo lo avessimo già appurato..."
"No, cioè si. Non intendo questo. Lasciami finire per favore. - Dice infastidita e io alzo le mani in segno di scuse - tu hai paura! Hai paura di ammettere a te stessa che potresti innamorartene. - Lei mi guarda di sottecchi dopodiché mi si siede di nuovo accanto sul divano. - Senti. Ho capito che c'era qualcosa che non andava nella tua vita nel momento esatto in cui ti ho incontrata e ho capito che qualcosa sarebbe cambiato nel momento in cui ti ho vista sorridere per lui. Magari tu non te ne sei resa conto ma io si."

Mi alzo dal divano infastidita dalle sue parole.
"Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Innamorata! Non ne sono affatto innamorata! So cosa significhi essere innamorata, so come ci si sente. - Faccio una breve pausa e poi riprendo. - Quando sei innamorata - dico guardando il soffitto, cercando di evitare il suo sguardo - non riesci a non pensare a lui, vorresti stare sempre con lui e... io non provo queste cose. Quando stiamo insieme non facciamo altro che litigare. Questo non è essere innamorati."
"Io ho detto che ti piace a tal punto da potertene innamorare."
"Non ne sono innamorata e, tanto meno, ci sono vicina. Il fatto è che, per quanto Harry sia diverso dagli altri, gli uomini sono tutti uguali, fanno tutti schifo e, comunque, anche se volessi tornare indietro, se volessi aggiustare le cose, non si può. Ormai l'ho perso e il comportamento più maturo da assumere sarebbe quello di accettare la realtà e lasciarlo andare. Ora vado a dormire che sono stanca. Ci vediamo domani." Concludo salendo le scale diretta nella mia camera.

Non riesco a chiudere occhio per tutta la notte, il pensiero di averlo perso mi mangia dentro. Io tengo a lui e perderlo mi fa malissimo. So che è tutta colpa mia, so che mi sono tirata la zappa sui piedi da sola ma mi sento come se fossi stata abbandonata di nuovo da qualcuno a cui tenevo molto. Non ne sono innamorata, di questo sono certa, ma è anche vero che non so cosa mi leghi a lui.

È trascorsa una settimana dal nostro litigio e in tutti questi giorni non ho fatto altro che pensare a lui. Alex ha dormito ogni sera da me anche se, da allora, non abbiamo più toccato l'argomento.
La mattina mi alzo presto, faccio una doccia rigenerante cercando di non pensare ma finisco per farlo inevitabilmente. È come se la mia mente fosse impossibilitata a cambiare argomento. È come se la mia mente fosse un giradischi e non riuscissi a cambiarlo e metterne uno diverso. Harry mi manca, questo è vero. Forse perché sono ormai consapevole che non lo vedrò più ma nonostante continui a ripetere a me stessa di andare avanti, di mettermi l'anima in pace e dimenticarlo, mi risulta impossibile spostare l'attenzione su qualcos'altro. Quando scendo in cucina vedo che Alex mi ha preceduta e sta preparando la colazione come ogni mattina in questa ultima settimana.

"Buongiorno" dico entrando nella stanza.
Lei si volta a guardarmi sorridendo. "Ho preparato dei pancakes; ho cercato la ricetta su Internet e, per essere la prima volta, non mi sono usciti affatto male."
"Perfetto, brava." Le rispondo.
Ci sediamo a tavola con i piatti davanti e, mentre lei si fionda sui frutti di bosco, io esito un attimo.
"Probabilmente avevi ragione."
"Certo che avevo ragione. Ma di cosa stiamo parlando esattamente?"
"Mi manca." Continua a guardarmi con gli occhi che le brillano.
"Lui mi piace. Questo è certo. - Mi passo una mano tra i capelli. - Mi manca. Sicuramente perché so che non vuole più vedermi ma... Credimi, non so che fare." Affermo portando le mani alla testa.
"Tu vuoi stare con lui?"
"Definisci 'stare'." Le dico alzando la testa a guardarla.
"Vorresti essere la sua ragazza? Vorresti poterlo definire fidanzato? Vorresti che lui tornasse da te?"
Io la guardo dritto negli occhi ponendomi queste domande. Si, lo vorrei tanto. Vorrei poterlo abbracciare, vorrei poter risentire il suo profumo, vorrei poterlo baciare, vorrei poter rivivere quella sensazione di sicurezza che solo il suo abbraccio sa regalarmi.
"Si." Le rispondo.
"Perfetto, allora. Cosa stai aspettando?"
Io mi alzo e comincio a girare intorno al tavolo posto al centro della stanza; la cucina è piccola, così come tutta la casa, ma ho sempre pensato che per una persona andasse benissimo.

Quando l'ho comprata le pareti erano color crema ma ho deciso di renderla un po' più mia dipingendo le pareti di ogni stanza di gradazioni diverse di giallo. Sono molto fiera del risultato finale. Il giallo non è affatto un colore comune ed è proprio questo a rendere la mia casa unica e, soprattutto, mia.

"Che cosa ti prende?" Mi chiede preoccupata.
"Il problema non cambia però. - Dico riflettendo ad alta voce. - Quello che mi bloccava prima mi blocca ancora adesso."
"L'unica cosa che devi fare è trovare il coraggio di raccontargli tutto, Greta. Non posso essere io a convincerti, nessuno può; solo tu."
"Lo so. Ma è difficile. Quando l'avrò fatto non lo rivedrò mai più."
"Ma cosa ne sai?! Se prova anche lui quello che provi tu e, da come ha reagito alla tua reticenza sul farti vedere in giro con lui direi proprio di si, non ti abbandonerà. Fidati. Qualsiasi sia il fardello che ti porti dietro."
Io mi soffermo a guardarla. Lei non sa niente del mio passato ma, come mi ha fatto più volte notare, nemmeno le interessa.
"Ma come fai?" Le chiedo.
"A fare cosa?" Risponde mentre porta alla bocca un boccone intero di pancake.
"A fidarti di me nonostante io non ti abbia mai detto niente del mio passato. Non vuoi sapere la mia storia?"
"Certo, ma sono dell'idea che un giorno, quando sarai abbastanza pronta, me la racconterai." Risponde con la bocca piena; faccio infatti fatica a capire cosa abbia detto.

Dopo questa affermazione mi viene spontaneamente la voglia di abbracciarla. Non sono il tipo da abbracci e lei lo sa bene. È speciale, Alex non ti giudica, dice quello che pensa facendoti riflettere, sempre. Ad un certo punto si discosta dall'abbraccio "non hai rapinato una banca, vero? O ucciso qualcuno, o..."
"Niente di tutto ciò." Dico interrompendola accennando un sorriso.
Adesso mi spetta la parte più difficile: trovare il coraggio di parlare con lui.

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